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Tutti i comuni della provincia

16/05/2025 11:11

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GUIDA TURISTICA, I comuni della provincia,

Tutti i comuni della provincia

La provincia di Catanzaro comprende in totale 80 comuni arroccati sulle alture, sui pendii, nelle vallate e altri ancora lungo la costa, tutti molto c

La provincia di Catanzaro comprende in totale 80 comuni arroccati sulle alture, sui pendii, nelle vallate e altri ancora lungo la costa, tutti molto caratteristici, unici perché contemplano origini diverse, usi e costumi propri, nonché tradizioni che hanno mantenute nel tempo. 
Alcuni esempi sono rappresentati da: 

BADOLATO, il secondo borgo più bello d'Italia; BORGIA, con la sua frazione di Roccelletta, e gli imponenti resti della basilica di Santa Maria della Roccella, e l’anfiteatro della colonia romana di Scolacium; CURINGA dove si può ammirare il più vecchio platano d’Italia; 
SAN FLORO, famoso per l’arte serica;  SERSALE con le straordinarie Valli Cupe; SQUILLACE per le sue ceramiche;  TAVERNA il paese natale di Mattia Preti; ZAGARISEnel cui territorio, si respira l'aria più pulita d'Europa!


ALBI (23 km dal capoluogo)  
Le origini di Albi sono strettamente legate a quelle dell’attuale Taverna e alla cui storia bisogna rifarsi.  ■ L’origine del nome Albi debba ricercarsi nell’aggettivo latino albus, bianco. I cronisti che sostengono tale interpretazione si copiano l’uno dall’altro senza portare alcuna ragionevole giustificazione alle loro tesi. Il terreno sul quale si decise di costruire il nuovo paese apparteneva ad Agostino Albio, ricco possidente: Albi prese il nome da lui. Dardanise si chiamò così dal nome dell’antica famiglia di Palepoli, in Uria, superstite di Dardano, che i Trischenesi, gli abitanti di Trischene, la primitiva Taverna, chiamavano Dardani. Se si tiene conto che il paese è costantemente nominato nei documenti antichi e negli atti pubblici e privati casale degli Albi, perchè sorto sulla sua terra, si comprenderà come la denominazione sia in relazione col ricco Albio e non con l’agettivo albus. Sulla sinistra del Litrello era l’ospizio di S. Giovanni per i passeggeri; vi si edificarono alcune case ed il luogo fu detto San Giovanni d’Albi. Albi, sorto come casele di Taverna di cui seguì storia e vicende e rimasto tale fino al 1806, anno in cui divenne comune autonomo, ebbe un tempo giurisdizione, oltre che sui villaggi di San Giovanni, che gli appartiene ancora e Dardanise che ne costituisce un rione con una chiesetta dedicata a San Filippo, su Magisano, San Pietro e Vincolise. ■ • Museo Civiltà agrosilvopastorale, delle Arti e delle Tradizioni • Abbazia di S. Maria di Pesaca • Ch. S. Maria della Misericordia • Ch. S. Maria delle Grazie
 

AMARONI (32 km dal capoluogo)  
Deriva dal nome latino di persona Amarus con l’aggiunta del suffisso-oni che dà alla parola il significato di “discendenti di Amarus” riferendosi agli abitanti del paese. È un piccolo centro adagiato su una collina, alle falde del monte Carbonara, da cui è possibile ammirare lo splendido panorama del Golfo di Squillace.  ■Ha origini antichissime, che risalgono alla preistoria, come dimostrano molti reperti. I primi abitanti s’insediarono lungo le rive del fiume Alessi, l’antico KARKINOS, dal nome della città greca che, secondo alcuni storici e archeologi, tra cui il Lenormant, qui sorgeva ed era identificato con la località “Majurizzoni”. Nel 1783 fu quasi totalmente distrutta da un rovinoso terremoto. I primi del XI secolo continuarono a essere anni difficili, anche economicamente, a causa della scarsa produzione agricola.  Con la prima organizzazione amministrativa fu compreso nel cantone di Catanzaro; con il ritorno all’ordinamento francese di Murat e Francesco Giuseppe nel 1806, Amaroni entrò a far parte del Governo di Squillace. Il Regno Borbonico, di cui Amaroni fece parte dal 1815 al 1861, si caratterizzò per una profonda arretratezza; il popolo viveva in povertà mentre i notabili ostentavano arroganza; a ciò si aggiunga l’atteggiamento di connivenza con il brigantaggio, dinanzi al quale, salvo qualche azione di contrasto da parte del governo, un Regno così debole non seppe reagire energicamente. ■   • Chiesa di Santa Barbara.  ■ Molte feste si celebrano in Amaroni, ma le più solenni e caratteristiche sono quelle di S. Barbara, di S. Lucia e della Addolorata.  S. Barbara è la patrona del paese, perché protesse in epoca antica la gente da lampi e tuoni e da un secondo terribile temporale che minacciava il paese. Si festeggia con il 31/07 .

 

AMATO (24 km dal capoluogo)  
Ubicato al centro della regione nell’Istmo di Marcellinara, il punto più stretto d’Italia. Dal territorio si gode la vista del Golfo di Sant’Eufemia e delle Isole Eolie. Tra queste spicca l’Isola di Stromboli.   ■È uno dei paesi più antichi della Calabria, essendo più volte menzionato da Plinio il Vecchio. I suoi abitanti, sembra, siano originari dell’antichissima città di Lametia, che sorgeva sul promontorio del Golfo di Sant’Eufemia. Poiché questa città, per ignota sciagura, nei primi secoli dell’era cristiana scompare, i superstiti cercano rifugio dapprima in Nicastro (Neocastrum), per poi trasferirsi nella vallata del Lamato, la cui omofonia si presta a far credere che derivasse dall’antica Lametia. Esistono, infatti, ancora oggi, nelle contrade “Lachi” e “Ammendola” i ruderi delle chiese di Sant’Andrea e di San Nicola e le fondamenta di un castello. I primi cenni storici su Amato risalgono al 1060. Il feudo venne descritto come quasi disabitato e il Signore di Amato era Guglielmo Altavilla, figlio di Tancredi d’Altavilla. Le prime notizie certe su Amato si hanno nel il 1º novembre del 1441, quando il Re Alfonso I d’Aragona riconobbe a Francesco Rodìo (anche: Rodio o Rhodio), figlio illegittimo di Giovannello Rodìo, il diritto alla successione paterna del feudo denominato “de Lornato”. Successore divenne il figlio Paolo con regio decreto di re Ferdinando.  ■  • Palazzo Timpone (Palazzo gentilizio del ‘600 appartenuto alla famiglia Mottola fino al 1811) • Palazzo Rossi (Edificio costruito intorno alla metà del Settecento • La casa Natale del Predicatore Francesco Rossi • Palazzo Mauro (La sua costruzione risale alla meta’ del 700) • Palazzo Jenzi (costruzione risalente al 1700) • Palazzo Papucci (risale alla metà dell’800) ed infine • Palazzo Graziano (risalente alla prima metà del 1600) • i ruderi del castello feudale risalente ai secoli XI-XII. • la fontana, “dei Greci” nell’omonima via • la fontana dei surici (sorgente originaria della fontana dei Greci) • la fontana degli italiani (costruita nella prima metà del ‘700) • monumento a Michele Torica (1736-1808) • la chiesa madre dedicata al culto dell’Immacolata concezione • la “Chiesulilla”, una Chiesa risalente al 1100 circa. ■  I festeggiamenti in onore del Santo si celebrano la seconda domenica di Agosto. 

 

ANDALI (46 km dal capoluogo)  
In principio il nome del borgo era Villa Aragona, perché di origine per l’appunto aragonese, che diedero in feudo il territorio a varie famiglie nobili del tempo. ■ Il nome attuale del paese dovrebbe derivare da una parola dialettale, che significa terreno incolto e selvaggio. Secondo un’altra ipotesi il nome deriverebbe dalla lingua Arbëreshë usata fino alla fine degli anni ’40 dagli abitanti del paese. L’attuale comune si originò probabilmente verso il 1450, quando delle armate di albanesi si insediarono in queste terre per scacciare, insieme agli aragonesi, gli angioini dal Regno di Napoli. Andali divenne un centro abbastanza importante, visto che inglobava nel suo territorio sia Cerva che Botricello, ma quando questi due territori divennero comune a se il paese cominciò un lento declino, tanto che ora gli abitanti si attestano a sole 788 unità. Andali fa parte delle comunità arbëreshë in Calabria, inoltre è inserito nelle comunità montane della Presila Catanzarese, e della regione agraria delle colline litoranee di Catanzaro. Il comune ha preservato solo in pochissimi casi isolati la lingua arbëreshë, ma ha perso fin da subito il rito greco - bizantino.  ■   • Valli Cupe Riserva Naturale Regionale. È un importante area naturalistica della Presila catanzarese. La particolarità è legata alla presenza di cascate, canyon, alberi secolari, rarità botaniche e monoliti. www.vallicupe.it  ■  • Sagra della Salsiccia13 Agosto. Evento estivo, durante il quale si possono gustare piatti a base di salsiccia e non solo, tutto preparato seguendo la tradizione Andalese. • Sagra della Patata 9 Agosto. Un evento in cui immergersi nelle tradizioni culinarie contadine del nostro territorio assaporando piatti tipici a base di “Patate della Sila”, il tutto condito da musica popolare calabrese.


ARGUSTO (48 km dal capoluogo)  
Sorge sul versante jonico della Costa degli Aranci a 530 m s.l.m. e si estende su una superficie di 7 kmq. Dista 49 km da Catanzaro e confina con i Comuni di Cardinale, Chiaravalle e Petrizzi. ■ La fondazione di Argusto, detto anche Arguto, risale al XVII secolo, quando vi si stabilirono alcuni coloni e contadini provenienti da Motta Santa Lucia. Per molti decenni il paese fece parte del territorio di Satriano. Subì numerosi danni in seguito al terribile terremoto del 1783, dopo il quale iniziò la ricostruzione del paese. ■   • Pal. Polella • Pal. Parisi • Ch. di San Ilari ■  Ottimi i salumi di carne suina come Capocollo, Pancetta, Soppressata e Salsiccia. Importante è anche la produzione dei formaggi tra i quali il caciocavallo e le ricotte affumicate. Particolarmente gustosi i dolci a base di miele locale.

 

BADOLATO (54 km dal capoluogo)  
È un borgo medievale situato su una collina, alle sue spalle le pre Serre Calabresi. ■ Le origini di Badolato si devono a Roberto il Guiscardo (1080) il quale fece erigere un castello fortificato. Il nome di Badolato deriva da Vadolato. Nel 1269 gli Angioini concessero il feudo a Filippo il quale l’anno successivo intraprese una guerra con il conte Ruffo di Catanzaro. Gli abitanti, rinchiusi nel borgo, vennero assediati dal conte Ruffo, il quale infine riuscì a conquistare Badolato, che rimase in seguito alla sua casata fino al 1451. In seguito appartenne alla famiglia Di Francia e nel 1454 il borgo divenne baronia dei Toraldo, i quali parteciparono anche alla battaglia di Lepanto (1571) e lo amministrarono fino al 1596. Badolato passò poi ai Ravaschieri (1596), ai Pinelli (1692) ed infine ai Pignatelli di Belmonte (1779), che lo cedettero in suffeudo ai Gallelli, i quali ressero il potere fino alla fine della feudalità (1806). Gravemente danneggiato durante la sua storia dai terremoti (1640, 1659 e 1783), Badolato venne anche colpito in epoca più recente da un’alluvione (1951).  ■  • Ch. dell’Immacolata • Ch.del convento di San Domenico • Ch. di Santa Caterina d’Alessandria • Ch. dell’Annunziata • Chi. della Provvidenza • Ch. Ss.mo Salvatore • Ch. del Carmine • Ch. di Santa Maria in crignetto • Chi. di San Nicola Vescovo • Ch. di San Rocco • Chiesa di Santa Maria degli Angeli • Ch. di Santa Maria della Sanità • Ch. dei Santi Angeli Custodi • Ch. di San Leonardo  ■  10/11 la festa di Sant’Andrea di Avellino • 25/11 festa di S. Caterina d’Alessandria • A Pasqua si svolge l’evento religioso “A Cunfrunta”.

 

BELCASTRO (44 km dal capoluogo)  
Di origine neolitica (5000 a.C.), poi enotrica e magnogreca (Kone?, 1100 a.C.), quindi romana (Paleocastrum, 300 d.C.) e bizantina (Geniocastrum, 900 d.C.) fino all’odierna Belcastro (Bellicastrum, 1300), si espande dalle falde sud-orientali della Sila Piccola fino alla costa del Medioionio, giusto a metà strada tra Crotone e Catanzaro al di qua del Fiume Tacina, dove il suo territorio, tra i più vasti della provincia, s’affaccia sul mare per un lembo di terra lungo appena tre chilometri (Belcastro Marina) che, ancora quasi incontaminato, separa Cutro da Botricello e comprendente le frazioni di Fieri, Condoleo e Magliacane. Altra Frazione trovasi a nord-ovest nel cuneo presilano, tra Cerva e Petronà, denominata Acquavona, antica e salubre area di villeggiatura. La posizione del sito permette di vagare tra mare e montagna in pochi minuti. L’abitato di Belcastro sorge su uno sperone roccioso, alla cui sommità si staglia il castello medievale, in stile normanno, dei conti d’Aquino (restaurato tra il 2006 e il 2012), che secondo alcuni storici locali sarebbe il luogo di nascita di san Tommaso d’Aquino (1226). La struttura edilizia della cittadina è quella tipica del borgo medievale, dove si alternano ai caratteristici vicoli della parte vecchia del paese, zone di nuova costruzione nella parte bassa. Particolarmente numerose le chiese di varie epoche, tra cui l’ex Cattedrale di S. Michele Arcangelo (Duomo, XI secolo), seconda per antichità soltanto a quella di Gerace. Ma assai interessanti sono anche la Chiesa di S. Maria della Pietà e i monumentali ruderi della Chiesa della SS. Annunziata, ambedue restaurate dal 2004 al 2010 e restituite al culto e al turismo. Sul fianco sinistro del paese si distende ubertosa e ricca di uliveti la valle del Nàsari, affluente del Crocchio.  Dopo essere stato a lungo feudo dei d’Aquino (Geneocastren) nei primi secoli del secondo millennio, Roberto d’Angiò nel 1300 le cambiò il nome in Bellocastrum (Bellicastren) per l’assoluta amenità del luogo, godendo successivamente del titolo di città per privilegio concesso da Alfonso V d’Aragona e poi dal figlio Ferrante I (XV secolo). Nel 1500 Federico d’Aragona la dava a Costanza d’Avalos d’Aquino, duchessa di Francavilla, ed in tale periodo conobbe grande fulgore, contando 7000 fuochi circa. Nel 1575 veniva infeudata dai duchi Sersale, quindi dai Caracciolo di Forino d’Ischia ed in ultimo, dal’8 aprile 1715, dai baroni Poerio, che ebbero la baronia fino al 1806 (quando si estinse la feudalità), salvo una breve parentesi (1803-1809) durante la quale la baronia fu data in affitto ad Antonio Cirillo di Taverna.  ■  • Chiesa dell’Annunziata • Chiesa della Pietà • Cappella di San Rocco • Duomo (Chiesa matrice parrocchiale di San Michele Arcangelo • Cappella di San Tommaso d’Aquino • Ruderi della Chiesa e Convento di San Francesco • Ruderi della Chiesa di S. Maria della Sanità • Ruderi del Castellaccio (Paleocastrum, VII-IX sec.) • Palazzo Poerio • Castello dei Conti d’Aquino ■ Il piatto forte della cucina locale sono i‘mparrettati ccu sazizza, pasta fatta in casa con sugo e carne di maiale. Caratteristica è anche a Tiana e baccalà, una pasta al forno con mollica e baccala. Nel periodo natalizio si prepara un dolce, detto pittanchiùsa, a base di noci, uva passa, cannella e altre spezie; mentre, nel periodo pasquale, si prepara la cuzzùpa, una ciambella decorata con uova, tipiche di Pasqua. Ma tra i dolci spicca pure a pasta ‘cumpettata, pasta frolla farcita con miele. Il paese, oltre a produrre un tipo d’olio molto apprezzato, offre una vasta gamma di salumi lavorati in casa e olive preparate in vari modi (sott’acqua, sottolio, sottaceto, infornate).

 

BORGIA (24 km dal capoluogo)  
Presenta le frazioni di Donnantona, Vallo e Roccelletta ormai conurbata con il comune di Catanzaro. Il nucleo storico del centro sorge su un altopiano collinare a 341 m s.l.m.: dista poco più di 10 km dal mar Jonio. L’agglomerato urbano, che sta conoscendo una fase di rapida espansione, è attraversato da due principali corsi, Mazzini e Matteotti, e da strade parallele e regolari. Interamente ricostruito dopo il drammatico terremoto del 1783, oggi è un centro ricco di palazzi nobiliari, monumenti, chiese e sculture antiche. I luoghi di principale interesse sono Villa Pertini, Piazza del popolo e Piazza Ortona, nella quale si può ammirare il duomo del 1852 dedicato a San Giovanni Battista (patrono della città) e il monumento dedicato ai caduti di guerra. ■ Secondo alcuni, le origini di Borgia sono da individuare in un tempo storico antecedente alla fondazione della colonia greca Skilletion. I Greci, sbarcando nel VII-VI sec. a.C., sulla costa jonica trovarono una popolazione dedita all’allevamento e alla pastorizia. All’arrivo dei Greci, nel Golfo di Squillace, esistevano dei nuclei residenti sulla precollina e collina in quel sito che prenderà il nome di Palagorio. Si ritiene che il termine Palagorio non esistesse in origine, ma venisse attribuito al villaggio più importante. H.orio di Palagorio di Borgia è da rapportare con H.orio, col il significato di “terre - villaggio”, che i Greci attribuivano ai villaggi indigeni esistenti nel sito di Borgia, aggiungendovi appunto “Pala” per definirli antichi rispetto alla loro venuta. Il villaggio, inizialmente, era organizzato sulle pendenze della collinetta ancora oggi detta “h.orio”, che si trova al km 5 della SS384 per Borgia. L’abbandono della città romana di Scolacium avvenuto tra il VII e l’VIII sec. d.C., probabilmente, fece confluire nel villaggio di Palagorio parte della popolazione che cercava rifugio nell’entroterra, dalle incursioni dei saraceni e dal diffondersi della malaria. Oggi non abbiamo tracce di Palagorio antico. Compresa nel territorio di Squillace, verso la fine del XV secolo fu infeudata ai Borgia, da cui prese il nome, che è l’italianizzazione dello spagnolo Borja. Devastata nuovamente durante un’invasione turca, nella prima metà del ‘500, venne riedificata poco dopo in una zona più sicura e salubre per concessione del Principe di Squillace Giovan Battista Borgia nel 1547. Nel XVIII secolo fu ceduta alla nobile famiglia De Gregorio e in seguito venne completamente distrutta dal terremoto del 1783 che decimò fortemente la popolazione e distrusse gran parte del paese ricostruito a seguito tramite la cassa sacra, istituita per la ricostruzione dei centri distrutti dal terremoto, non lontano dal precedente sito. Borgia venne ricostruita e progettata dall’architetto Vincenzo Ferraresi che scelse un territorio pianeggiante con un’impostazione che seguiva le nuove idee illuministe conferendo alla cittadina l’attuale assetto di moderno centro urbano. Fedele ai Borbone, ai tempi della Repubblica partenopea, si difese valorosamente dagli attacchi repubblicani. Nel 1811 fu capoluogo del circondario che comprendeva Girifalco e San Floro sotto i francesi e prese parte attiva ai moti risorgimentali, venendo poi annessa al Regno d’Italia insieme al resto della regione. Il sisma che colpì la Calabria nel 1905 vi causò ulteriori danni. ■  •Ch. di S. G. Battista • Ch. di S. Maria della Roccella 

 

BOTRICELLO (31 km dal capoluogo)  
Il nome deriverebbe dal greco, “bothros” (fosso) con l’aggiunta del suffisso-icellu. ■ Abitata fin da tempi antichi, come testimonia la necropoli del V secolo d.C. rinvenuta nella zona, deriva il toponimo dal termine greco-latino BOTHROS, “voragine, fossa”, con l’aggiunta del suffisso - icellu. Villaggio di Belcastro fino alla prima metà del XVI secolo, condivise poi le sorti dei territori circostanti, venendo assoggettata a diversi passaggi di proprietà: assegnata ai Morelli di Cosenza, pervenne in seguito ai Piterà, cui subentrarono i Grimaldi, che ne conservarono il possesso fino alla seconda metà del Seicento. Ultimi feudatari furono i De Riso, che assunsero il titolo di marchesi. Sotto il profilo storico-architettonico interessanti sono: la chiesa parrocchiale, dedicata alla Santissima Concezione e a San Michele; i resti di una chiesetta paleocristiana, nei pressi del mare, e i ruderi della torre costiera detta “Tagliacarne”, risalente al XVI secolo. Il paese possiede un sito archeologico nella zona vicino al mare: si tratta di una necropoli di età tardo-antica, affine a quella di Roccelletta, i cui scavi sono stati effettuati tra il 1967 e il 1968. Dalle numerose tombe a muretti laterizi o a ciottoli sono stati recuperati corredi ricchi di vasetti e vetri sottilissimi. Accanto alla necropoli è stata rinvenuta una piccola basilica in pessimo stato di conservazione. ■ • Il paese possiede un sito archeologico nella zona vicino al mare: si tratta di una necropoli di età tardo-antica, affine a quella di Roccelletta, i cui scavi sono stati effettuati tra il 1967 e il 1968. Dalle numerose tombe a muretti laterizi o a ciottoli sono stati recuperati corredi ricchi di vasetti e vetri sottilissimi. • La torre costiera detta “Tagliacarne” • Ch. di S. Michele e SS Immacolata Santuario della Madonna di Pompei 


CARAFFA  (19 km dal capoluogo)                       
La parte a valle del centro storico ospita un’area industriale soggetta ad un forte sviluppo. Nel punto più alto del paese, è possibile ammirare contemporaneamente il mar Ionio e il mar Tirreno. ■ Secondo Domenico Zangari, autore de “Le Colonie Italo Albanesi di Calabria”, gli albanesi giunsero a Caraffa verso il 1550, e provenivano dall’insediamento di Arenoso (o anche Santa Barbara) dove si erano stanziati intorno al 1467, epoca in cui erano giunti nel regno di Napoli. Nel 1466, poco prima dell’arrivo degli albanesi, il territorio di Tiriolo, dove sarebbero sorti alcuni casali albanesi, tra i quali quelli di Arenoso e di Usito, apparteneva al regio demanio. Per guadagnare spazio alle colture, gli Albanesi di Arenoso fecero disboscare la vicina montagna, causando delle frane che, piano piano, si avvicinarono all’abitato sino a inghiottire il casale, così che, verso il 1550, Ferdinando I Carafa, nipote di Galeotto Caraffa e Barone di Tiriolo, permise a molte famiglie albanesi di Arenoso di trasferirsi nella vicina località di “Serra Mazza” (arb. Rahj i Croit), a patto che il nuovo insediamento prendesse il nome del suo casato “Carafa”. Nel 1567 a Caraffa ci fu la prima numerazione dei fuochi. Da questa numerazione ci risulta che gli “avventizi del casale renusa” erano venuti da 15 anni.  Il 28 marzo del 1783 un disastroso terremoto con magnitudo 6.9 con epicentro a nord-est di Vallefiorita venne registrato in oltre 300 siti e scosse l’intera regione. Seguirono repliche per circa tre anni. Anche gran parte di Caraffa venne distrutto dal terremoto, e ci fu un elevato numero di morti. Quindi, non ritenendo conveniente riedificare Caraffa nel luogo primitivo, si decise di ricostruirlo o in San Giovanni di Truchi, o negli Ortali. Nel sito dove rinacque Caraffa, iniziarono i lavori per la costruzione della chiesa; il 18 ottobre del 1792 iniziarono i lavori del tetto e di tutte le parti in legno; i lavori terminarono il 18 settembre 1798, con la benedizione della chiesa. ■  • La Chiesa dei Maiorana • l’Istituto della Cultura Arbëreshe “Giuseppe Gangale”, con testimonianze della vivace cultura Italo-albanese.

 

CARDINALE (55 km dal capoluogo)  
Secondo alcuni, il nome Cardinale deriva dal latino cardinalis (cardinale, linea di confine). Ad avvalere questa tesi è la posizione centrale di Cardinale rispetto agli altri comuni della zona. Secondo altri, il nome di Cardinale deriva dal fatto che in questo paese si cardinava la lana. Una terza ipotesi è che il nome di Cardinale si riferisca ad un nome di persona non ben identificato. Situato a 562 m s.l.m. L’altitudine minima è di 341 m s.l.m. mentre quella massima è di 1178 m s.l.m. Avvantaggiato per la sua posizione centrale nella regione, da Cardinale è possibile raggiungere agevolmente tutte le località e città della Calabria. Il territorio è in massima parte boscoso. Troviamo il nocciolo, il castagno, l’ulivo, l’arancio, la quercia e il faggio. Negli anni cinquanta-sessanta sono stati avviati imponenti rimboschimenti con conifere. ■ Sorto in periodo imprecisato, in una zona abitata dal neolitico, fu dapprima casale di Soverato. Dal 1494 al 1610 fu dei Borgia Principi di Squillace. Nel 1610 venne infeudato ai Ravaschieri Principi di Satriano che nel 1611, in persona di Ettore, generale spagnuolo nella guerra di Valtellina, vi ebbero incardinato il titolo di Duca.  Fu danneggiato terremoto del 1783. E non minori danni subì dal terremoto del 1905, cui veniva disposto il consolidamento dell’abitato a totale carico dello Stato, e poi il trasferimento alle stesse condizioni. La grande Chiesa Parrocchiale, ricostruita dopo il terremoto del 1783, presenta molti segni dei rifacimenti successivi. Paese ad economia mista, Cardinale produce in prevalenza mais, patate, uva. ed olive. Sviluppata la pastorizia con selezionate razze di ovini e caprini che assicurano una buona produzione di formaggi gustosi. Sviluppato il commercio e l’artigianato del legno, con lavorazione di arredamenti, infissi e mobili. Negli estesi boschi di castagni faggi ed abeti nascono funghi che alimentano alcune piccole attività locali. Un tempo erano rinomate, assieme ai formaggi, le trote che venivano pescate nell’Ancinale, la selvaggina e le noci. ■   • Anfiteatro di Novalba • Ruderi Convento carmelitano • antichi mulini ad acqua • Ch. S. Nicola di Bari • Ch. S. Maria dei Sette Dolori • Ch. del Castello Filangieri • Ch. S. Maria delle Grazie in Novalba • Ch. S. Maria delle Grazie in Ciano • Ch. Giovanni Paolo II • Ponte delle tre arcate • Fontana a zampillo di Cuccumella • Fontana del Cavaliere • Fontana del Marchese • Fontana di Giannandrea • Fontana dei due ponti • Castello Filangieri • Castello della Baronessa Scoppa • Palazzo Romiti • Palazzo Salvi • Pal. Pelaggi • Pal. Nisticò • Pal. Rotiroti • Pal. De Luca • Pal. Mammone • Pal.Don Martino • Pal. Meliti • lago Lacina • lago Ancinale  ■  • Festa Patronale S. Nicola di Bari (ultima domenica di maggio) • Festa di Maria S.S. delle Grazie (agosto) • Festa della Madonna del Carmelo (16 luglio) • Palio di San Lorenzo • Memoria ai Caduti.

 

CARLOPOLI (46 km dal capoluogo)  
Sorge al centro di un ideale triangolo i cui vertici sono rappresentati da tre antichi paesi di diversa origine che nel tempo ne influenzarono la storia: Tiriolo, esistente già in età protostorica, Scigliano, di origine romana, e Taverna, l’antica Trischene. Tale posizione privilegiata, anche grazie alla limitrofa presenza dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo, rappresentò uno dei percorsi di transito più frequentati nel Medioevo. ■  Nel febbraio del 1625 alcuni uomini di una famiglia provenienti da Panettieri presentarono al conte Carlo Cicala, proprietario del feudo di Tiriolo, una richiesta formale di fondare in quelle terre un nuovo casale, che avrebbero chiamato, in onore dello stesso conte Cicala, Carlopoli: (Città di Carlo). Carlo Cicala approvò tali richieste e permise la fondazione feudale di Carlopoli. Circa cinque anni dopo l’infeudamento di Carlopoli, Carlo Cicala ebbe il privilegio di fregiarsi del titolo di Principe. Le attività economiche del XVII secolo a Carlopoli furono gestite da pochissime famiglie: i Montoro i Guzzo, i Talarico, i Pingitore, i Brutto e i Nicotera. A testimonianza di quel tempo rimangono ancora a Carlopoli le vestigia di antichi palazzi signorili. Divenne Comune nel 1832, con Ferdinando II di Borbone. Il 29 settembre del 1867 l’amministrazione provinciale di Catanzaro richiese ai comuni di Carlopoli e Castagna deliberazioni circa la loro effettiva volontà di aggregarsi. Il consiglio comunale di Carlopoli deliberò all’unanimità di aderire. ■   •Reperti risalenti all’età eneolitica • Resti dell’antica Abbazia di Santa Maria di Corazzo.

 
CENADI (45km dal capoluogo)  
Si trova a 530 metri al livello del mare. Il territorio è tra quelli dei Comuni di Cortale, Olivadi, Polia, San Vito Sullo Jonio, Vallefiorita, e si estende dal versante Jonico delle Serre lungo le pendici della Serralta S. Vito nell’alto bacino del torrente Soverato.  ■  Fu casale della Baronia di San Vito e perciò infeudato ai Gironda e poi aggregato al Principato di Squillace, dal 1494 al 1619. Passato allora ai Fosselli, fu successivamente dei Ravaschieri che lo tennero fino al 1634. Passato ai Caracciolo di Girifalco, nel 1640 lo ebbero i Caracciolo di San Vito fino al 1725, quando, per rivendica ritornò ai Caracciolo di Girifalco che lo mantennero fino all’eversione della feudalità (1806). Per il tempo che fu nel Principato di Squillace rimase sotto il dominio di casa Borgia. Danneggiato ancora dal terremoto del 1905 venne ammesso a godere delle provvidenze disposte dal Governo, e nel 1922 incluso nell’elenco degli abitati da consolidare a totale carico dello Stato. L’ordinamento amministrativo disposto nel 1799 dal Generale Championnet lo includeva nel Cantone di Satriano, dipartimento della Sagra. Il decreto francese del 19-I-1807, classificandolo Luogo, ossia Università, lo includeva nel cosiddetto Governo di Monteleone, attuale Vibo V.

 

CENTRACHE (42 km dal capoluogo)  
Il territorio si sviluppa dai 408 agli 850 metri di altitudine e si estende per circa 7.87 km² tra i comuni di Montepaone, Olivadi, Palermiti, Petrizzi, Vallefiorita sul versante Jonico delle Serre, alle pendici sud orientali della Serralta di San Vito nell’alto bacino del torrente Beltrame, alla sinistra del fosso ‘’Giambattistello’’. L’abitato si estende quasi in pianura sul declivio di una collina a 45 metri sul mare.  ■ Detto anche Centrico, Centrici e Centreca, casale di Squillace, fu incluso nella contea dell’epoca Normanna e perciò nel 1270 sottostette a Giovanni di Monfort, dal 1314 al 1464 ai Marzano, dal 1483 al 1494 fu di Federico d’Aragona, passato poi ai Borgia rimase in questa famiglia fino alla prima metà del Settecento. Poi e fino all’eversione della feudalità appartenne ai messinesi de Gregorio, durante la dominazione francese (1805-1815) ebbe a patire alcuni danni per la sua condotta ostile agli occupanti. Colpito dal sisma del 1783, per sua fortuna, contò danni ma senza vittime, poi danneggiato dal terremoto del 1905 venne incluso nell’elenco dei comuni ammessi a beneficiare delle provvidenze disposte per apposita legge del 25 giugno 1906, gravissimi danni e in paese e nelle campagne furono prodotti dal nubifragio nell’ottobre 1921 e del 1971. ■  La parrocchia intitolata all’Annunciazione di Maria S.S. si trova nella diocesi di Squillace, il patrono è sant’Onofrio, festeggiato la 2.a domenica d’agosto.

 

CERVA (43 km dal capoluogo)  
Offre interessanti itinerari paesaggistici che si snodano nei boschi circostanti e lungo le sponde del fiume Crocchio con la sua tipica vegetazione incontaminata. Uno spettacolare paesaggio accompagna il borgo, con le sue cascate, le ampie vasche e una notevole presenza di trote, impressionanti i grandi burroni con la classica vegetazione mediterranea. In queste passeggiate, veramente salutari, è facile scoprire e incontrare vecchi casolari dove, in tempi non lontani, si essiccavano le castagne per ricavare “i pastilli “. Ad oltre 1000 metri di altitudine, in località “Donaglie”, immersa fra i pini, si trova un’area attrezzata per piccole soste turistiche a cui fanno capo una serie di percorsi naturalistici che si immergono in 220 ettari di bosco la cui vegetazione, prettamente mediterranea, è arricchita da secolari alberi di castagno, da immense querce, da alberi di sughero, da pini, da abeti, da faggi. ■ Secondo alcuni Cerva esisteva già con questo nome intorno al 1620, epoca della fondazione di Sersale (paese limitrofo), ma la versione più accreditata e riscontrata è quella secondo cui le origini risalgono ai primi anni del sec. XVIII ad opera di alcune famiglie di coloni provenienti dalla provincia di Cosenza. Inizialmente feudo della famiglia Poerio di Belcastro, fu chiamata originariamente con il nome di “San Giovanni della Croce”, in seguito, questo nome fu tramutato in “Cerva” perché era solita comparire una cerva nelle vicinanze del villaggio; secondo altri il nome Cerva deriverebbe dal fatto che anticamente queste zone, ricche di selvaggina, erano rinomate per la caccia al cervo. Nel 1746 il villaggio dai Poerio passò alle famiglie dei Maida di Cutro ma, dopo un breve periodo, nel 1758 venne restituito di nuovo ai Poerio di Belcastro che lo tennero fino all’eversione della feudalità avvenuta nel 1806. Nel decennio della dominazione francese la Calabria segna un rinnovamento amministrativo ed in seguito a ciò, con decreto del 19 Gennaio 1807, Cerva veniva riconosciuta “LUOGO”, ossia Università, del cosiddetto governo di Belcastro. Il 28 Ottobre 1850 Cerva fu dichiarata Comune autonomo. Le poche risorse disponibili erano l’agricoltura, l’allevamento del bestiame, il legname dei vigorosi boschi silani e lo sviluppo di una serie di attività artigianali tipiche. La struttura socio-economica del paese, per lungo tempo, ruotò intorno ai poderi di tre o quattro famiglie nobili del comprensorio. In seguito al terremoto del 1908 anche Cerva subì ingenti danni ma riuscì a reagire con dignità riportando il corso del suo sviluppo alla normalità; durante gli anni della IIª guerra mondiale si ebbero momenti molto difficili che, nel 1943, sfociarono in una rivolta popolare contro le angherie del locale comandante del presidio dei carabinieri “U Marasciallu”; ciò causò una brusca frenata allo sviluppo del paese in quanto quasi il 70% di esso fu interessato dalla dura repressione che ne seguì e che portò ad arresti di massa fra la popolazione. ■   • Museo della Castagna  ■  Piatti a base di pasta fatta in casa come “i scilatialli”, “i mparrettati”, “i cuvatialli” oppure i dolci tipo “e pittanchiuse” “i tardilli” “e grispelle”, “e crucette” e “lli crustuli”, “e cuzzupe” che si trovano nel periodo pasquale; “i vallani”, “e ruselle” e “lli pastilli” nel periodo autunnale. Facili da reperire prodotti tipici conservati sott’olio e sott’aceto tipo i funghi, le olive, i pomodori secchi; oppure i funghi porcini seccati al sole. Ancora si possono gustare “e supressate”, “e sazizze” ,”i capeccualli” “e frittule” “i frisuli” e “llu suffrittu” durante il periodo tipico dell’uccisione del maiale per la provvista familiare (Dicembre - Gennaio); i latticini tradizionali del luogo tipo “u formaggiu pecurinu” “a ricotta” “a iuncata” ricavati con il latte ovino e caprino.

 

CHIARAVALLE CENTRALE (50 km dal capoluogo)         
Il nome Claravallis figura in un documentato del 1483 scritto in latino, quando il borgo fu eretto a feudo da Alfonso II d’Aragona, feudo che ne venne affidato al conte Goffredo de Borges. Claravallis diviene poi Claravalle e quindi Chiaravalle, e tale permane fino al 1863, quando con Regio Decreto assume l’attuale denominazione. Confina anche con il comune di Capistrano (VV). Situata a riddosso dei monti delle serre gode di un clima piacevole. ■ Fu occupato, intorno al 1074, dal conte Ruggiero I. Nell’archivio nazionale vi è traccia di villaggi denominati “San Biagio”, “Madonna”, “Spirito”, “San Giovanni”. Nei registri di morte, esistenti solo nel 1722, vengono menzionate chiese con la stessa denominazione dei villaggi delle quali oggi non vi è traccia, eccezione per quella dello Spirito Santo. Lo spostamento del paese si è verificato in seguito al terremoto nel 1783. Claravallis, intorno al 1400, era già famosa per le sue industrie e commerci dei lini. Vi è una zona in Chiaravalle chiamata “Gurne” dove la tradizione localizza l’esistenza di vasche per la macerazione dei lini. Nella storia di Chiaravalle in quanto anche zona sismica C1 si ricordano due terremoti: il primo nel 1783, in cui si contarono 2 morti su 2446 abitanti, il paese però subì molti danni pari a 70.000 ducati. Ben più grave e catastrofico fu il terremoto della mezzanotte del 5 novembre 1659 quando Chiaravalle fu distrutta e contò 67 morti.  ■ • Convento Padri Cappuccini • Ch. Matrice • Sant. Maria S.ma della Pietra • Ch. del Sacro Cuore di Gesù • Teatro Impero • Museo sacro • Museo della civiltà contadina ed artigianao, presso il Convento • Biblioteca dei Padri Cappuccini, presso il Convento • Pal. Staglianò

 

CICALA (39 km dal capoluogo)  
Nel 1875, lo studioso Domenico Lovisato, in seguito al ritrovamento di alcuni reperti archeologici risalenti al Neolitico, condusse delle ricerche sull’origine di questo paese. Questi reperti archeologici ritrovati è possibile ammirarli nel Museo Provinciale di Catanzaro. Da questa scoperta, fino al XVII secolo non si ha più nessuna notizia certa sulla storia di questo paese. In alcuni documenti si parla di un villaggio denominato “Castriota”. Era infatti proprio questo il primo nome di Cicala, dal nome della sua fondatrice Giovanna Maria Castriota, discendente di Giorgio Castriota Skanderberg, madre di Francesco Maria Caraffa Duca di Nocera, che lo fondò nel 1595.  Per difficoltà economiche, nel 1610 il feudo di Tiriolo, compresi i casali, fu venduto da Francesco Maria Caraffa al conte di Messina Carlo Cigala, che lo acquistò per 80.000 ducati. In questo territorio era compreso anche il villaggio di “Castriota”. Si suppone che il centro abitato in origine si sia sviluppò principalmente sulla cosiddetta “Via Rande” (Via Grande, composta da Via Vittorio Emanuele II e da una parte di Via Garibaldi), intorno ai Palazzi dei Mancusi e dei Cigala. Nel 1783 il centro abitato fu distrutto da un terremoto. Il casale rimase proprietà della famiglia Cigala fino al 1806, anno in cui fu assediato ed incendiato dai Francesi. Con la prima legge francese del 1807 divenne luogo del governo di Serrastretta. Il successivo riordino del 1811 lo attribuì a Tiriolo. Nel 1816 passò nel circondario di Gimigliano. Frammenti di storia sono ancora visibili nel centro storico del paese caratterizzato da stretti vicoletti, dove si incontrano antiche fontane, brevi scalinate, piccoli balconi, insieme ai “Vignani” (piccoli spazi rialzati, davanti all’uscio di casa, dove spesso le “comari” si riunivano per chiacchierare), alle porticelle (porte a metà altezza, usate per chiudere l’uscio di casa durante il giorno, fungendo da finestra), alle icone costruite nel muro di casa, con l’immagine di un Santo o a porte ormai chiuse ma che lasciano intravedre i segni di attività commerciali. ■   Interessanti alcuni fabbricati in stile liberty o in pietra, con balconi e portali, considerati beni architettonici del paese come: • Pal. Cigala • Pal. Mancusi • Pal. Talarico P. • Pal. Astorino • Pal. Mancuso • Pal. Voce • Pal. Talarico G. • Pal. Astorino (II) • il Mulino Talarico • il Mulino Mancusi • il Mulino Leo-Mancusi • il Casale Le Pera • Villa Mancuso.

 

CONFLENTI (78 km dal capoluogo)  
Le origini del nome sono controverse. Secondo alcuni, Conflenti deriva dal participio latino cumfluo, ossia confluente, riferito alla confluenza di due fiumi. Secondo altri da cum flentes, ovvero piansero assieme, riferito al luogo dove pare si fossero fermati i soldati di Pirro dopo essere stati sconfitti in battaglia. Più plausibile sembra la provenienza del nome da confluentes, da cui conflentari e in dialetto cujjentari, inteso come coloro che confluivano in quel luogo. Tanta gente infatti arrivò a stabilirsi qui nel corso dei secoli. È un suggestivo comune di circa 1400 abitanti, con una estensione territoriale di quasi 30 kmq. Il centro storico è costituito da due nuclei: Conflenti Superiore (o Soprani) e Conflenti Inferiore (o Sottani). I due borghi sin dalle origini, e fino agli inizi del 1800 circa, sono stati separati e hanno avuto, per lungo tempo, dialetto, cultura e tradizioni differenti. Le frazioni invece, in cui ormai risiede metà della popolazione, sono incastonate per lo più nella parte alte della montagna in uno scenario paesaggistico molto suggestivo. La posizione geografica è invidiabile: Conflenti dista pochi chilometri dal mare e dalle pendici della Sila.   Le prime tracce di insediamenti sono quelle rinvenute intorno al carcere fortificato della Triponia, nel rione Lupa, attorno al IX secolo. Ma è solo intorno al cenobio basiliano di San Nicola, dopo l’anno Mille, e successivamente intorno alla chiesa di Sant’Andrea, che si formarono due villaggi veri e propri che ben presto vennero incorporati alla contea di Martirano. Verso il 1500, per sfuggire alle persecuzioni, arrivò una piccola colonia di ebrei che si insediò in zona Fucili al Casale, e si integrò agevolmente con la popolazione locale dando ulteriore impulso a una economia già vivace. Il destino del piccolo borgo cambiò a seguito delle miracolose apparizioni della Madonna e alla conseguente costruzione del Santuario in località Visora nel 1580. Conflenti già sul finire del 1500 aveva una sua importanza strategica sulla linea di confine tra la Calabria Citra e quella Ultra ed era un luogo di riferimento dal punto di vista religioso.  ■La festa patronale è il 7/2, giorno di ringraziamento e penitenza in onore della Madonna di Visora, che preservò la gente di Conflenti dal devastante terremoto che nel 1783 rase al suolo quasi tutti i paesi del circondario. La ricorrenza più importante è però quella dell’ultima domenica di agosto. ■ • Ch. di San Nicola • Chiesa Di Loreto • Chiesa Di Sant’andrea Apostolo • Chiesa Dell’immacolata

 

CORTALE (42 km dal capoluogo)  
Sull’istmo della Calabria, il nome Cortale deriva probabilmente dal greco “cortazo” (nutrire nella stalla) che in latino fu poi trasformato in cohortale (parco di animali).  ■ L’insediamento che forse fu l’elemento essenziale per le origini del paese è costituito da un monastero basiliano, intitolato a S. Michele e ai SS. Anargiri (Cosma e Damiano). Il convento fu edificato nell`anno 1070, il più antico documento che riguarda questo monastero, risale al 1098. In questo documento è nominata “Cortale” ma solo come una contrada rurale. Il paese in questi luoghi trovò uno sviluppo naturale, favorito da un territorio fertile e ricco di corsi d’acqua. Il centro storico nella zona delle “cinque fontane” e delle “tre fontane”, sopravissute ai terremoti del 1783 e del 1905, ancora oggi testimonia quel passato. Dopo il terremoto del 1783 si costruì in una zona più alta del paese dove c`erano le proprietà delle ricche famiglie dei Cefaly e dei Venuti. Queste casate, avevano donato gratuitamente le proprie terre per la costruzione delle nuove abitazioni. Fu così che nacque il rione che fu denominato “Donnafiori”. Nel corso degli anni Cortale fu infeudata a molti signori: ai San Licet (dal 1272 al 1331); ai Marzano, conti di Squillace (fino al 1408); ai Caracciolo, conti di Nicastro (fino al 1560); ai Palma (fino al 1566); ai Carafa di Nocera (fino al 1604); ai Loffredo (fino al 1699); ai Ruffo di Bagnara (fino all’eversione della feudalità nel 1806). Il 19 gennaio del 1807, con l`ordinamento amministrativo stabilito dai francesi Cortale fu elevata a rango di Università e compresa nel governo di Maida. Quattro anni dopo diventò Comune e fu assegnata al circondario di Maida. L’1 maggio del 1816, durante il periodo borbonico, diventò capoluogo di circondario con giurisdizione sui comuni di Jacurso, Vena e Caraffa. La storia di Cortale è lunga quasi mille anni, nel paese si trovano ancora numerose tracce del passato: la Chiesa Matrice della Madonna dell’Assunta di stile barocco risale al Settecento. All’interno della Chiesa, oltre a numerosi affreschi è possibile ammirare alcune tele, che la tradizione attribuisce ad Andrea Cefaly “il vecchio”. Tutti questi dipinti testimoniano il fermento culturale ed artistico che Cortale visse ai tempi della scuola di pittura istituita dall’artista calabrese nel 1862 col nome “Istituto Artistico Letterario”. Un anno dopo si affiancò alla scuola cortalese una “Società degli Artieri”. Quest’ultima aveva un presidente onorario d’eccezione, Giuseppe Garibaldi, nel 1860 Cefaly aveva combattuto al suo seguito. Ancora nella Chiesa di S. Giovanni si possono ammirare dipinti dell’artista calabrese, la cui opera più nota “La Tradita” conosciuta anche come “La Traviata” è custodita nel Museo del Louvre a Parigi. In questa Chiesa è custodita una S. Croce Bizantina in pietra, rinvenuta in agro di Cortale da alcuni contadini tra il 1100 ed il 1200. Volendosi addentrare ancor di più nella cultura del pittore cortalese basterà visitare la sua abitazione. Gli affreschi che si ritrovano all`interno del palazzo, ci comunicano la profonda conoscenza letteraria del Cefaly e il suo amore per Dante. L`arte pose Cortale al centro di contatti importanti con città culturalmente elevate. Cortale non è ricca solo di arte ma anche di tradizioni che tutt`oggi vengono tramandate. Le risorse economiche del paese erano legate all`agricoltura, la vite l`ulivo ed i cereali (ancora oggi sono pregiati i fagioli del ``Grosso``) insieme alle castagne. Ancora la pastorizia, le fibre tessili, la coltivazione del baco da seta che negli ultimi anni è stata ripresa. L`artigianato del legno ha lasciato pregiati mobili.  ■   • Chiesa Matrice • Chiesa di San Giovanni • Chiesa di Sant’Anna • Fontana dei Cinque Canali  • Fontana dei tre Canali • Palazzo Gatto • Palazzo Ruffo  ■ • Nel mese di Agosto è consuetudine lo svolgimento del Festival Jazz & Vento

 

CROPANI (40 km dal capoluogo)  
La parola “Cropani” deriva dal greco “kropos”, che significa letteralmente “letame”, nell’accezione di “terra grassa, fertile. Nella parte collinare del territorio, caratterizzata dalla presenza della macchia mediterranea e di estesi oliveti, si trova il centro abitato più antico (chiamato talvolta Cropani Superiore, che ospita la sede municipale). Dall’altra parte del fiume Crocchio, che bagna l’intero territorio fino a sfociare nello Ionio, trova spazio la piccola frazione di Cuturella di Cropani. Mentre nella marginale zona pianeggiante è situata l’altra frazione Cropani Marina, un centro abitato che si estende dal mare alla Strada statale 106 Jonica. L’escursione altimetrica risulta essere pari a 704 m s.l.m.  ■ Si è ipotizzato che i primi insediamenti siano sorti in seguito all’emigrazione degli abitanti di due città distrutte o scomparse: Erapolis, nei pressi del fiume Crocchio, e Atenapolis situata vicino al fiume Simeri. Ad avvalorare questo scenario vi è il rinvenimento, nei pressi dell’odierna Cropani Marina e del Crocchio, di reperti di una città distrutta. Nonostante la sua origine sia incerta, alcune fonti concordano per quella bizantina, da collocarsi nel VI secolo, l’epoca in cui giunsero dei monaci basiliani che scelsero questo luogo perché strategico per difendersi da attacchi stranieri. Comunque, la cittadina già esisteva intorno all’800. A tal proposito, lo storico seicentesco cropanese Giovanni Fiore ha raccontato che nell’anno 831 giunsero nei pressi di Cropani alcuni mercanti veneziani, tornati da Alessandria d’Egitto dove avevano prelevato le spoglie dell’evangelista Marco. Secondo questa ricostruzione, la nave affrontò una vigorosa tempesta e naufragò in corrispondenza della spiaggia cropanese. Gli abitanti del luogo soccorsero i mercanti e questi, come segno di riconoscenza, donarono loro un frammento della rotula del ginocchio destro del santo, custodito nella chiesa di Santa Maria Assunta (il Duomo). Inoltre, in seguito, i veneziani concessero ai cropanesi la cittadinanza onoraria di Venezia, come risultava da documenti andati distrutti nell’incendio del municipio del 1947. ■  • la Torre di guardia di Crocchia • l’Antica Porta • Il Duomo • Collegiata dell’Assunta • Ch. di Santa Lucia • Ch. di Santa Caterina • Ch. di San Giovanni • Ch. della Madonna della Catena • Ch.di Sant’Antonio • Ch. di sant’Anna • Pal. Coluccio • Scavi archeologici di una villa rustica romana.  ■ • Premio Mar Jonio

 

CURINGA (39 km dal capoluogo)  
Si affaccia sulla piana di Lamezia e il Mar Tirreno, al centro del golfo di Sant’Eufemia, sulla Costa dei Feaci. Il territorio comunale si estende per 52,53 km² e degrada dolcemente da est verso ovest, dalle falde delle Preserre catanzaresi occidentali (Monte Contessa, metri 881 s.l.m.) al litorale pianeggiante. Offre paesaggi e caratteristiche ambientali variegate: boschi di faggi, lecci, querce e abeti sono presenti in alta collina. In località Vrisi si può ammirare il Gigante Buono, un platano orientale millenario monumentale (Platano orientale di Vrisi), tra i più grandi d’Europa, mentre il pioppo nero più grande d’Italia si trova poco più a valle, proprio all’ingresso del borgo. Per questo motivo Curinga è conosciuta anche come “il paese dei due giganti”. Il litorale è caratterizzato da cinque km di spiaggia libera con un ampio arenile in sabbia silicea e dune marine che ospitano colonie di piante psammofile e una folta macchia mediterranea con mirti e ginepri. L’intera area è stata riconosciuta come sito di interesse comunitario (S.I.C. “Dune dell’Angitola”). Seguendo la linea costiera, una folta pineta ricopre tutto il litorale comunale fino a Torre Mezza Praja (Ruaddu) dove lascia spazio a eucalipti ed a una zona umida anch’essa riconosciuta sito di interesse comunitario (S.I.C. “Palude di Imbutillo”). Alle spalle della pineta si estende una fertile pianura ricca di agrumeti e uliveti che interessa metà della superficie comunale. Ai piedi delle colline si trova un’antica ed enorme duna fossile testimonianza del neolitico. Il panorama collinare è caratterizzato quasi interamente da ulivi secolari e vigneti.  L’intero territorio è percorso da est a ovest dal torrente Turrina (Mucato / Nocato) che sfocia nel golfo di Sant’Eufemia dopo aver attraversato la valle sottostante il borgo e la piana. Altri corsi d’acqua presenti sono il torrente Le Grazie, il Randace, Samboni, Tre Carlini. Curinga è ricchissima di acqua, numerose sono le falde acquifere sotterranee e le sorgenti. Il clima è quello tipico delle regioni mediterranee con temperature miti anche in inverno.  ■Curinga ha una storia plurimillenaria. L’intero territorio comunale è infatti ricchissimo di testimonianze storico-archeologiche. ■ •Ch. di S.Andrea Apostolo.• Santuario di Maria Santissima del Carmelo; • Ch. dell’Immacolata; • Ch. di San Giuseppe; • Ch. di Maria Santissima del Soccorso; • Ch. dell’Addolorata; • Ch. della Madonna delle Grazie • Ch. di San Giovanni Battista; • Ch. dell’Annunciazione; • Ch. di Santa Maria della Speranza; • Ch. “borbonica” di San Giovanni; • Monastero di Sant’Elia Vecchio • Le Terme Romane di Curinga • Duna fossile di Piana di Curinga • Palazzo Bevilacqua • Palazzo Perugini • Palazzo Serrao • Palazzo Ciliberti • Palazzo Senese. Di costruzione quattrocentesca, è uno degli edifici di maggior valore storico del paese. • Villa Maggiore Perugino • Villa Cefaly - Pandolphi • Palazzo Ducale • Torre Angioina di avvistamento • Palazzo - Fortezza principi Ruffo • Torre Normanno - Sveva • Fortino Seconda Guerra Mondiale • Platano di Vrisi, platano orientale millenario monumentale con circonferenza di circa 17 metri, situato in località Corda nei pressi del monastero di S.Elia Vecchio • Pioppo nero, albero secolare con circonferenza di circa 10 metri, situato nei pressi della chiesa della Madonna del Soccorso (purtroppo seccato e raso al suolo) • Area S.I.C. “Dune dell’Angitola” • Area S.I.C. “Palude di Imbutillo”

 

DAVOLI (45 km dal capoluogo)  
Con i suoi 25 kmq, di territorio, si estende dallo Jonio fino agli altipiani delle Serre quasi incastona tra i fiumi Melis e Arcinale. In questi ultimi anni ha visto fiorire una serie dl attività, turistiche e commerciali: diversi sono i villaggi e i punti vendita, anche di prodotti lavorati in loco sparsi nel territorio. Nelle viuzze dell’agglomerato urbano oltre ai bei portati e alle vecchie Chiese, è facile rinvenire i segni della tradizione e del folclore, così è pure facile trovare, per chi ama la buona cucina, dei genuini e tipici prodotti locali. Questa è un’area tutta Magno Greca e i primi colonizzatori della Grecia trovarono in Davoli facile approdo, nel VII secolo, insediandosi alle falde dell’Alaca e dell’Ancinale, il Cecino navigabile. Il nome Davoli. originariamente e Daulis, proviene da Dauli città della Focide da dove sarebbero partiti i nostri fondatori. Recenti, accreditati studi, suffragati dalla toponomastica e una singolare conformità dei luoghi alla descrizione omerica, ipotizzano che questo territorio si identifichi con Il regno dei Feaci, il popolo che accolse Ulisse dopo il naufragio. ■  Nel nono secolo d.C. avvennero in Davoli numerosi insediamenti di Monaci basiliani che fondarono eremi e cenobi, il più famoso dei quali rimane quello in località Trono. Il nome di Davoli, originariamente Daulis, proviene da Daulia, città della Focile, da dove sarebbero partiti i fondatori. Recenti, accreditati studi, suffragati dalla toponomastica e da una singola conformità dei luoghi alla descrizione omerica, ipotizzano che questo territorio si identifichi con il regno dei Feaci, il popolo che accolse Ulisse dopo il naufragio. Durante il periodo della colonizzazione greca il territorio fu spesse volte campo di battaglia delle schiere di Crotone e di Locri, che si contendevano il dominio delle colonie. Durante le guerre puniche le orde di Annibale stabilirono diversi accampamenti nel circondario, prima della famosa battaglia della piana di Sangineto, o Sajnaru, nella quale il condottiero cartaginese perse l’appoggio della gente Brutia contro Roma. Nel nono secolo D.C. avvennero in Davoli numerosi insediamenti di Monaci brasiliani, che fondarono eremi e cenobi, il più famoso dei quali rimane quello in località Trono. Il nucleo urbano si sviluppò successivamente nella zona di S. Barbara e S. Pietro (1500), quando secondo documenti storici acquisiti, la popolazione fu tassata per fuochi 104 (1532) ed era sottomessa ai principi di Satriano. Nel 1571 il suo castellano era il caporale Jacopo Antonio Magalli, cui succedette il caporale Vincenzo Romeo. È questo il periodo in cui il territorio fu meta di nobili, dotti e clero, i quali, con i diritti e i privilegi della loro condizione, arricchirono Davoli di palazzi maestosi e la Marina di sontuose dimore di villeggiatura, punto di incontro per i giovani dell’epoca che frequentavano rinomatissime scuole di medicina, di “Utroque Jure” e di fisica. Successivamente, per il decreto del 4/5/1811, il paese diventava capoluogo di un circondario comprendente i Comuni di Satriano, S. Sostene, S. Andrea; privilegio mantenuto nel successivo assetto regionale voluto dai Borboni con la legge 1/5/1816. Davoli subì danni gravissimi durante il terribile terremoto del 1783, in cui perirono numerosi cittadini (la popolazione, infatti, che si attestava alla fine del ‘700 sui 3000 abitanti, veniva calcolata nel 1815 in 1359 unità). Il territorio, reso fertile dall’abbondanza delle acque, ha favorito in Davoli una fiorente agricoltura (si contavano nel territorio ben sette mulini, nove tappeti, cinque forge) allevamenti di ovini e bovini. La parte montana del territorio è estesa a castagneto e faggeto. ■   I Davolesi si distinsero per la lavorazione del legno e del carbone, la concia delle pelli, la produzione di vini, oli pregiati, e prodotti caseari che trafficavano sui mercati delle cittadine vicine, specie verso Serra San Bruno. In marina si sviluppò l’allevamento del baco da seta e dai numerosissimi telai uscivano delle ottime coperte ricamate, le famose “damasche”, orgoglio delle novelle spose. Nella zona del Trono, negli anni quaranta, è stato rinvenuto e sfruttato in parte, un grosso giacimento di quarzo e di caolino, che veniva spedito con le navi a Napoli e Firenze, per ceramiche e materiale ottico. 

DECOLLATURA (47 km dal capoluogo)  
Per molto tempo si è creduto di ricondurre l’etimologia di Decollatura a quella di una ipotetica decapitazione occorsa durante una battaglia tra Pirro e Mamertini. Dell’ubicazione di questa battaglia però non è stata trovata alcuna prova né storica né archeologica, per cui l’ipotesi ha perso valore.  Nel 2017, all’interno di un’articolata ricerca storica, è stata proposta da Giuseppe Musolino una nuova ipotesi che fa riferimento alla particolare posizione di Decollatura come territorio di controllo del valico tra la pianura lametina e l’entroterra. Poiché anticamente il diritto di passaggio era anche noto col nome di corretura, attraverso successive modifiche si sarebbe giunti a Decollatura, inteso quindi come il luogo in cui si paga la corretura. È articolato in numerosi centri abitati di cui alcuni costituivano le sue frazioni, oggi unite senza soluzione di continuità. I loro nomi, ancora molto usati, sono San Bernardo, Casenove, Cerrisi e Adami, solo quest’ultima ancora classificata come frazione. Dal territorio nasce il fiume Amato, l’antico Lametus, uno dei fiumi più importanti della Calabria che sfocia nel Mar Tirreno. ■ Le testimonianze archeologiche suggeriscono che il territorio sia stato abitato già in epoca preistorica e protostorica come testimoniano i numerosi frammenti di ceramica a impasto rinvenuti in località Sorbello e la pietra coppellata di Santa Filomena. Le ricognizioni sui rilievi che circondano Decollatura hanno evidenziato la presenza di un numero cospicuo di pietre coppellate di varie forme e dimensioni che provano un’intensa frequentazione del territorio nel periodo protostorico. Nel corso dell’Ottocento numerosi sono stati i ritrovamenti di asce levigate di varie forme e materiali risalenti al Neolitico e confluite nelle raccolte di Giustiniano Nicolucci e Domenico Lovisato di cui una parte è conservata presso il Museo di Antropologia di Napoli. Il Comune fu fondato nel 1802, a seguito di una lunga causa promossa dagli abitanti di tutti i villaggi presso la Regia Camera della Sommaria di Napoli che approvò la separazione dall’Universià di Motta Santa Lucia. Gli abitanti lamentavano da molti anni il pesante regime fiscale loro imposto dagli amministratori di Motta da cui dipendevano, senza ricevere in cambio servizi e assistenza. A guidare l’iniziativa fu Giuseppe Scalzo (1759-1848) che firmò per conto dell’intera comunità la convenzione di seperazione da Motta Santa Lucia il 29 aprile 1802 che è quindi il giorno di nascita dell’Università di Decollatura.  ■  • Ch. di San Bernardo • la Ch. Madre • Ch. di Maria SS del Monte Carmelo • Ch. di Maria SSAssunta • Ch. di Maria SS Addolorata.

 

FALERNA (61 km dal capoluogo)  
Il nucleo originario dell’abitato è arroccato a 550 metri di altitudine sulle pendici occidentali del monte Mancuso (m 1327), una delle maggiori cime del gruppo montuoso del Reventino. L’abitato è posto in posizione baricentrica rispetto alla valle del Savuto a nord, e la piana di Sant’Eufemia a sud. A 10 km dal centro storico, sorge Falerna Marina, a 6 metri s.l.m., notevole stazione turistica del Tirreno Catanzarese. ■  Il primo riferimento storico è un Regesto Vaticano di novembre 1606, ripreso da padre Francesco Russo nelle sue opere. Il centro abitato di Falerna nacque, presumibilmente, nei primi anni del Seicento, e si popolò di nuove genti a seguito del rovinoso terremoto del 1638, che colpì il Lametino e la Valle del Savuto. Nei feudi dei d’Aquino, i paesi si trovarono al centro del disastro e i danni furono ingenti. Castiglione, l’antico feudo della famiglia, contò 101 morti e complessivamente, nello stato feudale, i morti furono oltre 4.000. Il terremoto scoppiò in una fase delicata per la famiglia d’Aquino, quando i feudatari cercavano di arrestare l’esodo della popolazione per disporre di maggiore forza lavoro da utilizzare nello sfruttamento delle campagne, al fine di acquisire ulteriori ricchezze e consolidare il prestigio all’interno della nobiltà calabrese. L’opera di ricostruzione fu, pertanto, indispensabile, e sotto il dominio di Giovanna Battista d’Aquino, quarta principessa di Castiglione, gli sforzi per combattere la tendenza allo spopolamento portarono al centro dell’attenzione il nuovo centro abitato di Falerna. Il villaggio si sviluppò alle falde del Monte Mancuso, in posizione ancora più elevata rispetto a Castiglione, su un territorio dove i feudatari raccolsero pastori e agricoltori provenienti dai paesi vicini, promuovendo così la trasformazione dei “pagliai” in case in muratura. Il centro crebbe rapidamente e raccolse tutti i contadini sparsi nei piani di Stia, Carito, Canne e Polpicello. Nei Registri per il “Relevio” (tassa dovuta dal feudatario all’atto della prima investitura o nella successione feudale in cui avveniva il trapasso dal primo investito) Falerna figura per la prima volta nel 1636, feudatario Cornelia d’Aquino, assieme a Conflenti, Castiglione, Serrastretta, Martirano, Motta Santa Lucia, Nicastro, Zangarona. I nuclei familiari di Falerna passarono da 32 nel 1648 a 57 nel 1669, fino ad arrivare a mille abitanti sul finire del Seicento, ivi compresi quelli di Castiglione. I d’Aquino, trasferitisi prima a Nicastro e poi a Napoli, lasciarono la conduzione dei feudi a diversi procuratori, e nel corso del Settecento Castiglione decadde, cedendo la guida del territorio a Falerna, che nel 1783 arrivò a contare circa 800 abitanti, contro i 366 di Castiglione.

 

FEROLETO ANTICO (40 km dal capoluogo)  
L’etimologia del nome si presta a due interpretazioni: Secondo la prima il nome Feroleto deriva dalla parola “ferula”, sostantivo latino che significa “canna”. La zona proliferava di canne, specialmente le sponde dei torrenti che delimitano il paese. Per la seconda, il nome Feroleto deriva dalla parola “ Feroletum “ che significa “portatore di morte”. ÈIl centro è posto a circa 350 m l.m. ed ha una estensione di circa 22 km². Il suo territorio è prevalentemente collinare. La vetta più alta è il monte Mennazzo (749 m). È attraversato dal fiume Badia per circa 13 km. Il borgo è ubicato all’interno di una piccola vallata boschiva. Il comune si trova nel punto più stretto d’Italia, nell’Istmo di Catanzaro, al centro della Calabria. Da alcune sue frazioni si può godere di un’ottima vista sul Golfo di Sant’Eufemia. ■ Sulle origini di Feroleto non si hanno documenti certi ma è probabile che esisteva anche prima della nascita di Cristo. Alcuni storici ritengono che il centro abitato sia sorto intorno al IX secolo, ad opera di popolazioni di origine ausona o enotra, che, allontanandosi dalle coste, si rifugiarono in un nuovo sito per sfuggire alle incursioni saracene e per questo scopo scelsero un luogo munito di barriere naturali, che fortificarono con castello e mura. A questa sede diedero in nome di Feroleto. ■  • Sant. di Dipodi • Ch. di S. Maria Maggiore. ■  l’olio Lametia, le clementine di Calabria, il capocollo, la pancetta, le salsicce e la soppressata di Calabria.

 

FOSSATO SERRALTA (18 km dal capoluogo)  
Le origini del comune coinvolgono la storia di Taverna (nella M. Grecia l’antica Trischene) noto centro della presila catanzarese. ■ Nell’anno 981, Taverna fu distrutta, e con essa, distrutto anche il Borgo Casale. I superstiti di Casale, scelsero di rifugiarsi nella collina “Serra Alta”, formata a mò di sella con attorno pendii impervi, vi si fortificarono mediante scavi (trincee), e vi fondarono Fossato Serralta. Il centro presilano fu feudo dei Ruffo fino al 1464. Fossato Serralta fu, per lungo tempo, Capoluogo, ed una delle tre “Università” sorte dalla distruzione di Trischene; aveva giurisdizione sui borghi vicini come Pentone, Sorbo San Basile, Maranise, Savuci e Noce. Pentone si distaccò da Fossato Serralta nel 1838 e Sorbo San Basile nel 1850. Noce tra il 1943 e il 1946, fu completamente distrutta e scomparve, in conseguenza di alluvioni. Maranise nel corso del secolo scorso fu sede notarile, nel borgo primeggiava l’industria della concia delle pelli e quella della filanda della lana.

 

GAGLIATO (45 km dal capoluogo)  
Situato su una collina a 480 metri di altitudine a metà strada tra Soverato e Chiaravalle Centrale. ■  Si hanno notizie storiche a partire dal XV secolo, allorché era un feudo della famiglia dei Morano che lo ebbe in proprietà fino a tutto il ‘400. Passò poi ai Borgia, principi di Squillace, che lo avevano sottratto ai Morano con la forza. Protagonista di questo fatto d’arme era stato Goffredo Borgia, fratello di Cesare, il Valentino, e di Lucrezia, sorretto da un gabellotto del luogo, tale Gironda. In seguito il feudo tornò ai legittimi proprietari. Nel 1494 Ferdinando I re di Napoli espropriò tutti i beni del Morano e li assegnò a Luca Sanseverino, barone di San Marco. Nel 1626, per vincolo matrimoniale, passò ai Sanchez de Luna i quali acquisirono il titolo di marchesi. Infine, nel 1714, a questi succedettero i Sanseverino. Un decennio dopo fu riacquistato dai Sanchez de Luna che incardinarono il titolo di duchi. A distanza di alcuni anni questa famiglia di origine spagnola lo alienò in favore dei Castiglione Morelli, che lo trasformarono in baronia. Nel 1806 ebbe inizio l’eversione della feudalità ad opera di Giuseppe Bonaparte e l’antico feudo di Gagliato fu trasformato in luogo appartenente al «governo» di Satriano. Con il successivo decreto istitutivo dei comuni, 4/5/1811, venne dichiarato comune del comprensorio di Chiaravalle Centrale. Dell’antica grangia certosina di Gagliato resta ben poco. Quell’antico insediamento ha sempre rivestito per la comunità gagliatese, ma anche per quelle dei paesi limitrofi, una grande importanza. Con un piccolo sforzo di fantasia è possibile immaginare come tra quei monaci e la gente del luogo fosse in atto un reciproco rapporto di laboriosità e di preghiera. Essa infatti amministrava un vasto feudo che ricadeva nei comuni, oltre a quello di Gagliato, di Satriano, San Sostene, Davoli e Argusto. Ciò avvenne il 10 gennaio 1784, quasi esattamente un anno dopo il catastrofico sisma che devastò l’intera Calabria. Cominciò da quell’infausto evento la decadenza del cenobio: la Cassa sacra e i francesi, in fasi diverse, dapprima lo sospendevano e poi lo sopprimevano, assorbendone tutti i possedimenti.

 

GASPERINA (38 km dal capoluogo)  
È da ritenersi che il primo nucleo dell’abitato sia sorto intorno ai secoli VII-VIII d.C. ad opera di popolazioni rivierasche che, per sfuggire alle incursioni dei pirati saraceni, si spostarono dal litorale, trovando rifugio nelle parti più nascoste delle prospicienti colline, dalle quali era più facile scorgere il nemico senza essere visti e, quindi, provvedere alla difesa. ■  Le prime notizie certe risalgono all’epoca normanna e al Conte Ruggero che, affascinato dalla personalità di San Brunone di Colonia, indusse questi a fondare l’eremo di Santo Stefano del Bosco, dotandolo di ricche ed estese donazioni, tra cui il casale di “Gasparrina”. Da quel momento la storia di Gasperina si lega a quella della Certosa di Serra San Bruno e, per secoli, ne seguirà le vicende. Fatto di certa importanza fu la costruzione del Monastero di S. Giacomo detto anche “Grancia di Sant’Anna”, dal nome della collina sulla quale fu eretto, nel territorio di Montauro. La storia di Gasperina si intreccia, per altri versi, con quella del Principato di Squillace. Infatti nel 1497 la comunità di Gasperina finì, insieme a tanti altri casali, sotto la potestà di Goffredo Borgia della casata di Papa Alessandro VI e sposo di Sancia, figlia di Alfonso II di Napoli. Dopo alterne vicende e dopo il catastrofico terremoto del 1783, l’immensa proprietà del monastero venne incamerata dal governo dell’epoca e in seguito, nel 1819, ceduta a vari acquirenti. ■  • Palazzo Spadea-Strivieri Mann • Palazzo Pavone • Palazzo Lombardo. ■  Secondo la leggenda, la statua della Madonna di Termini fu trovata in mare da alcuni pescatori. Contesa dagli abitanti di Gasperina, Montauro e Montepaone, fu posta al di sopra di un carro trainato da due buoi e sarebbe rimasta nel luogo dove questi ultimi si sarebbero fermati. Poco prima del borgo Gasperina, i buoi si sarebbero fermati e inginocchiati esattamente nel luogo dove oggi sorge l’omonimo santuario.

 

GIMIGLIANO (16 km dal capoluogo)  
Il comune è posto sul versante meridionale della Sila Piccola, sul  monte  San Salvatore  che si affaccia sulla valle del Corace. Esistono due distinte località, ciascuna delle quali può essere considerata nucleo urbano di Gimigliano: Gimigliano superiore (in dialetto “Susu”) e Gimigliano inferiore (in dialetto “Jiusu”). La zona di Gimigliano è alquanto complessa dal punto di vista geologico, ed è stata oggetto di numerosi studi, per la coesistenza di rocce di differente origine, natura ed età. Ne sono espressione la presenza di due pietre che sono state utilizzate fino a un recente passato in edilizia: il “marmo rosa” (marmo persichino) e la “pietra verde”, una roccia metamorfica (ofiolite) molto comune nel massiccio del Reventino. Walter Álvarez ha ipotizzato che queste ultime formazioni si siano originate durante le fasi di chiusura dell’Oceano Tetide, per la collisione della Placca africana con quella euroasiatica che ha dato origine alle catene montuose delle Alpi, si siano staccate dalle Alpi e siano state trasportate nella posizione attuale. ■  Il monte San Salvatore cominciò a essere popolato alla fine del IX secolo da immigrati delle coste ioniche che cercavano rifugio dalle incursioni dei Saraceni. I due nuclei urbani si formarono in seguito all’invito del generale bizantino Niceforo Foca il vecchio, durante la vittoriosa campagna nel biennio 885-886, a stabilirsi in kastellion, borghi posti sulle alture più facilmente difendibili grazie alla configurazione naturale del terreno. Nei secoli seguenti le vicende politiche di Gimigliano furono le stesse di quelle di Tiriolo: nel 1481 fu acquistata dai Carafa di Soriano, che nel 1630 la vendettero alla famiglia dei Cicala, la quale resse il paese fino al 1806, anno in cui, per la legge 24 del 2 agosto 1806, fu abolita la feudalità. Nel 1807, l’anno in cui Gimigliano ottenne l’autonomia amministrativa, l’abitato venne dato alle fiamme dai francesi di Giuseppe Bonaparte. ■  La festa della Madonna di Porto ha una durata di tre giorni. Il rituale civile-religioso inizia la domenica di Pentecoste e si conclude la sera del martedì. Si celebra la Madonna di Porto, che è stata proclamata patrona della provincia di Catanzaro, il cui quadro acheropita è custodito nella Ch. Madre “SS. Salvatore” di Gimigliano.

 

GIRIFALCO (28 km dal capoluogo)  
Centro collinare di origini medievali adagiato ai piedi del monte Covello in posizione terrazzata al centro della penisola calabrese e dell’istmo di Catanzaro. ■ Divenne comune tra il 1806 e il 1815. Nello stemma distintivo venne accolta la comune leggenda dalla quale pare discenda il nome della cittadina: un falco volteggia ad ali spiegate nel cielo azzurro, dall’alto di una torre. Sull’etimologia del nome Girifalco molto si è scritto e il problema resta a tuttoggi insoluto, visto che nulla di scritto supporta alcuna delle tesi proposte. In un vecchio articolo del giornale “La tribuna illustrata”, del 7 Febbraio del 1937, si legge: “Girifalco deve la sua nascita alla morte di due paesi, Toco e Caria, distrutti dai Saraceni nell’836. Gli scampati all’incendio e al macello si rifugiarono sopra una rupe chiamata “Pietra dei Monac””, e respinsero ogni assalto lanciando le pietre strappate alla montagna. Furono chiamati, quei prodi, una “Sacra Falange”, e, da quel loro nome, detto in greco, venne il nome del loro nuovo nido: Girifalco”. Lo studioso Giovanni Alessio, nel suo “Saggio di toponomastica calabrese”, rimanda ad un “Kurios-Falcos, Dominus Falcus”, ma il suo Kurios-Falcos è un presbitero in agro civitatis Nohae, parte contraente di un rogito del 1118. Questa soluzione etimologica pare quindi poco convincente. Appare fuori dubbio che il rapace abbia a che fare col nome della cittadina, opinione condivisa da tutti coloro che si sono interessati al problema. Uno scrittore e viaggiatore inglese, tale Lear, percorse a piedi il sud Italia, e così scrive nel suo “Diario di un viaggio a piedi”: “Arrivai ad una città di montagna chiamata col delizioso nome di Girifalco... probabilmente se uno potesse scavare nella sua storia, potrebbe trovare che il nome arrivi ai Normanni o probabilmente al più grande dei falconieri, Federico II”. Per il sovrano svevo, Girifalco, al centro dell’istmo di Catanzaro, poteva costituire una postazione strategica: dall’alto di Monte Covello si scorge l’uno e l’altro mare e una guarnigione, quindi, sarebbe andata più che bene. Non dobbiamo inoltre ignorare che un pezzo dell’artiglieria antica si chiamava proprio Girifalco. Ed ancora: la chiave della soluzione potrebbe essere ricercata nell’ambiente di corte del sovrano di Sicilia. Allora era in voga la caccia con il falco e vi erano i falconieri, ufficiali di corte preposti all’allevamento e addestramento dei falconi. Probabilmente un falconiere risiedeva da quelle parti, visto che la zona di Girifalco in alcuni periodi dell’anno costituisce un passaggio obbligato di questi uccelli. Non solo Girifalco porta nel suo stemma un uccello, Catanzaro ha un’aquila bicipite, Gerace uno sparviero rampante in campo aperto. ■  • Ch. di S. Rocco • Ch. Matrice S. Maria delle Nevi • Ch. del Rosario • Ch. dell’Addolorata • Ch.dell’Annunziata • Fontana Carlo Pacino • Complesso Monumentale (ex ospedale psichiatrico) • Prima Casa Comunale • Pal. Municipale • Ex Pal.Ducale • Pal. Spagnuolo • Pal. De Stefani-Ciriaco • Pal.Staglianò • Pal.della Casa di San Rocco.

 

GIZZERIA (52 km dal capoluogo)  
Situato a 630 m s.l.m. è abbarbicato sui pendii della valle del torrente Casale e sotto il colle Micatundu; caratteristiche che gli regalano tramonti mozzafiato con vista Isole Eolie, sia in inverno che in estate. Il comune comprende anche una zona di costa che si estende per circa 10 km. La caratteristica peculiare di questo tratto di costa sono i venti termici che l’attraversano. Infatti per le caratteristiche geomorfologiche del territorio questo tratto di costa è chiamato “La bocca del vento”, perché è qui che si incanala il vento all’interno dell’istmo di terra dove è presente uno dei parchi eolici più grandi d’Italia. Grazie a queste caratteristiche il comune di Gizzeria è uno dei migliori luoghi nel Mediterraneo per praticare lo sport del kitesurf. Infatti, Gizzeria ospita ogni anno una tappa del campionato europeo e nel 2015 ha ospitato una tappa del campionato mondiale delle c ategorie Hydrofoile e race.  ■  Il territorio di Gizzeria conta numerose testimonianze di insediamenti italici e greci nell’antichità. Le radici di Gizzeria, secondo alcuni studiosi, risalgono a un’antica colonia greca detta Izzario o Izzaria, poi assorbita dal Monastero basiliano di San Nicola latinizzato nell’XI secolo dai benedettini di S. Eufemia; Monastero di cui si sa molto poco. In epoca normanna, denominata Yussaria, fu un castrum del Duca Roberto il Guiscardo, e fu donata in feudo all’abbazia Benedettina di Sant’Eufemia. La fondazione è del 1450 circa, ad opera dei coloni albanesi (arbëreshë), esuli sfuggiti alla distruzione turca e provenienti dall’Albania in varie ondate. Il paese fu presto assegnato, assieme al territorio di Nocera Terinese, al feudo di Santa Eufemia governato dai Cavalieri di Malta, che effettuarono una latinizzazione del luogo, a seguito della quale gli abitanti abbandonarono la lingua albanese ed il rito ortodosso; difatti oggi poco o nulla rimane di quelle remote tradizioni. Fu danneggiata dal terremoto del 1783. I Francesi ne fecero un Luogo, ossia Università, nel cosiddetto Governo di Sant’Eufemia del Golfo. In epoca borbonica furono limitati i privilegi ecclesiastici, e verso l’inizio dell’Ottocento fu abolito il feudalesimo. Numerosi paesani parteciparono ai moti liberali, tra i quali è da citare Alessandro Toia, uno dei partecipanti alla spedizione dei Mille, e dopo l’unità d’Italia furono numerosi gli episodi legati al brigantaggio postunitario. Verso la fine dell’Ottocento la scarsità delle risorse e l’aumento demografico determinarono l’inizio di una forte emigrazione, che continua anche nel ventunesimo secolo, e l’urbanizzazione di una cospicua parte della popolazione, che è andata a vivere a Sambiase e Nicastro, poi diventata Lamezia Terme. Gizzeria ha pagato un triste tributo al fenomeno migratorio italiano: provenienti da Gizzeria erano alcuni degli emigrati italiani scomparsi nel più grave disastro minerario che la storia degli Stati Uniti ricordi, l’incidente di Monongah, avvenuto il 6/12/1907 nell’omonima località statunitense.

 

GUARDAVALLE (65 km dal capoluogo)  
Il suo territorio si estende per oltre 60 km², con un’altitudine che va dai 0 m s.l.m. della sua ampia ed estesa costa (4,1 km), caratterizzata da dune marine e spiagge di bianca sabbia silicea con acque cristalline, dove fortunatamente si può accedere liberamente in tutta l’area, ai 1100 m s.l.m. di Elce della Vecchia, dove si trovano vaste superfici forestali di leccio, faggio, querce, abete bianco e castagno. Un patrimonio forestale importante e con numerosi luoghi di alto interesse ambientale-turistico, come il borgo di Pietracupa e le vicine cascate del torrente Assi. ■ Fu fondata nel IX secolo ad opera di profughi, i quali preferirono rifugiarsi sulle alture, per porsi al riparo dalle incursioni saracene. Compresa nel feudo di Stilo, ne condivise le sorti, passando da un proprietario all’altro. Nel corso dei secoli e fino all’annessione al Regno d’Italia, è stata assoggettata a più dominatori: ai Normanni, agli Svevi e agli Angioini subentrarono gli Aragonesi, gli Spagnoli, i Francesi e i Borboni. Divenne comune autonomo nel 1799 ad opera del Generale Championnet.  ■  • Pal. Falletti • Pal. Spedalieri • Palazzo Sirleto • Palazzo Salerno • Palazzo Riitano; • Palazzo Trua • Palazzo Criniti • Palazzo Rispoli • Torre Cavallara • Torre Giordano • Torre di Nena; • Torre Menniti; • Arco di trionfo • Ruderi della Basilica di S. Carlo Borromeo • Chiesa di S. Agazio Martire o del Rosario • Chiesa Maria SS.ma del Carmine • Chiesa delle Anime del Purgatorio o di Maria SS.ma delle Grazie • Chiesetta di Sant’Antonio • Monastero di S. Maria • Mulino Galati.

 

ISCA SULLO IONIO (45 km dal capoluogo)                
Il borgo di Isca è adiacente al torrente Valle Oscura, l’unico affluente destro del Salùbro. All’interno del territorio si trovano le interessanti cascate del Gallipari nei pressi della vecchia centralina idroelettrica del Romito e le “cascatelle di Isca” che si trovano a sud del borgo nella parte alta del torrente Valle Oscura ■  Isca e il suo territorio, assieme a Santa Caterina e Sant’Andrea, fece parte dei casali dipendenti dalla ben più influente Badolato. I baroni di Badolato furono quindi anche feudatari di Isca, tra cui si ricordano i Ruffo di Catanzaro, i di Francia, e nel 1454 i Toraldo, i quali parteciparono anche alla battaglia di Lepanto (1571) e la amministrarono fino al 1596. Isca passò poi ai Ravaschieri (1596), ai Pinelli (1692) ed infine ai Pignatelli di Belmonte (1779), che la cedettero in retro feudo ai Gallelli, i quali ressero il potere fino al 1806.

 

JACURSO (39 km dal capoluogo)  
A 441 m s.l.m. a nord del monte Contessa, si affaccia sulla piana lametina. La sua collocazione offre un’ampia visuale che, nei punti più alti del territorio, permette un maestoso panorama che spazia dalle coste del Tirreno a quelle dello Ionio. ■  Il centro sorse nel XV secolo ad opera di un gruppo di pastori che si stabilirono in queste terre. La prima citazione storica di Jacurso, su un documento storico ufficiale, si trova nell’inventario di Maida del 1466, epoca in cui era un suo Casale parte di quel feudo, con la sua storia legata all’avvicendamento di nobili famiglie feudali, passando dai Caracciolo di Nicastro (1408-1560) ai Palma, ai Carafa di Nocera, ai Loffredo nel 1607 e dal 1699 al 1806, anno dell’eversione della feudalità, ai Ruffo di Bagnara. La sua storia socio-economica fu condizionata da molti terremoti, uno su tutti quello del 1783. Tra gli edifici degni di nota ci sono il santuario della Madonna della Salvazione che sorge sulle rovine di un convento fondato da padri Carmelitani nel 1576, la chiesa parrocchiale cinquecentesca di San Sebastiano Martire ricostruita dopo il terremoto del 1783 e il palazzo comunale datato 1931.  ■  La festa più importante è quella della Madonna della Salvazione, che si svolge l’ultima domenica di luglio. Particolarmente conosciuta per i fuochi di artificio della domenica a fine festa. Altre processioni sono quelle di San Sebastiano il 20 gennaio, del Venerdì Santo, della Madonna del Carmine il 16 luglio e di Santa Lucia il 13 dicembre. Jacurso è molto conosciuto nella regione per le sue due gelaterie artigiane pluripremiate.

 

LAMEZIA TERME (41 km dal capoluogo)  
La città prende il nome dal fiume Amato, un tempo chiamato Lametos, che l’attraversa nella sua parte più periferica. Questo nome fu originariamente dato solo all’ex comune di Sant’Eufemia Lamezia. Con l’unione amministrativa del 1968, si è scelto il nome di Lamezia per l’intera città, a cui è stato aggiunto Terme, per via delle terme di Caronte che si trovano nell’omonima frazione dell’ex comune di Sambiase. È la città con la maggior estensione territoriale dell’intera provincia e l’ottava della regione. Il territorio comunale di Lamezia Terme comprende otto chilometri della costa dei Feaci sul golfo di Sant’Eufemia, una parte della piana lametina e delle zone collinari e montuose che si estendono fino al Monte Mancuso ed è compreso tra 0 e 1311 metri s.l.m. Fra i principali corsi d’acqua del territorio troviamo il fiume Amato, che nei millenni ha formato la piana di Sant’Eufemia, e alcuni dei suoi affluenti, i torrenti Cantagalli, Piazza e Canne. Inoltre troviamo il torrente Bagni, famoso per le acque sulfuree delle terme di Caronte e il torrente Zinnavo che segna il confine naturale con il comune di Gizzeria. ■  Lamezia Terme è formalmente un agglomerato abbastanza recente, poiché il comune è stato costituito il 4 gennaio 1968, per volere del senatore nicastrese Arturo Perugini, dall’unione amministrativa di tre centri abitati, che, prima di tale data, costituivano comuni a sé stanti (Nicastro, Sambiase e Sant’Eufemia Lamezia), e che oggi sono considerati dei veri e propri quartieri. La storia di Lamezia Terme comprende, quindi, quelle dei tre ex comuni, i cui territori erano abitati anche molti secoli prima che questi centri sorgessero. Esistono reperti archeologici che testimoniano la presenza nel suo territorio di comunità del periodo italico e del periodo magno-greco. • NICASTRO. La sua storia ha inizio in epoca bizantina tra il IX e il X secolo, con la costruzione dell’avamposto militare Neo Castrum, ovvero nuova città coadiuvata da opere di fortificazione, da cui il quartiere odierno prende il nome. Il nuovo centro bizantino si abbarbicò sui primi rilievi collinari a dominio della costa e della piana di Santa Eufemia, con controllo anche delle vie di comunicazione istmiche. In epoca normanna venne edificato il castello, a protezione della ricca piana. In epoca sveva, vi soggiornò anche l’imperatore Federico II, e il castello venne anche utilizzato come prigione per il figlio ribelle di quest’ultimo, il principe Enrico, detto lo Sciancato. Secondo una tradizione locale, Nicastro, il quartiere più popoloso di Lamezia, sarebbe una delle città più antiche d’Italia fondata da Askenaz, pronipote di Noè, che dall’Armenia si sarebbe spostato in Calabria e fu abitata da Ausoni ed Enotri. La città è stata identificata anche con l’antica Numistro o Numistra, per questo motivo la via principale della città è stata chiamata Corso Numistrano. Altri hanno identificato Nicastro con Lissania, città fondata agli inizi dell’era cristiana. Gli storiografi tendono a escludere queste ipotesi collocando la fondazione verso l’VIII secolo. • SAMBIASE. Nasce verso il IX secolo, intorno al monastero di San Biagio, santo dal cui nome deriva, per successive trasformazioni linguistiche, quello del quartiere odierno della città. Numerose nel corso degli anni le chiese costruite all’interno della città. Delle tredici originarie, però, ne restano in piedi soltanto cinque, mentre le altre sono andate distrutte o trasformate dai cittadini dell’epoca, in abitazioni o negozi commerciali. Già prima in epoca romana con il nome di Due Torri, Sambiase era conosciuta come meta turistica, per le terme di origini magno-greche, chiamate allora Aquae Angae. Di questa civiltà sono rimaste solo un mosaico di una villa greca nella chiesa del Carmine, delle monete terinesi a Caronte e il tesoretto di Acquafredda conservate nel museo archeologico lametino. • SANT’EUFEMIA LAMEZIA. Ha una storia antichissima, documentata dai tempi dei Normanni, ed è stata sede di un baliaggio assegnato all’ordine dei Cavalieri Gerosolimitani, oggi noto come Sovrano militare ordine di Malta. L’ordine possedeva oltre al baliaggio di Sant’Eufemia, anche i feudi limitrofi di Nocera Terinese e Izzaria (oggi Gizzeria). In seguito al disastroso terremoto del 1638, che aveva visto la città come suo epicentro, un nuovo centro, quello di Sant’Eufemia del Golfo (oggi Sent’Eufemia Vetere), venne fondato in una zona collinare. Con la fine del baliaggio il territorio di Sant’Eufemia entrò a far parte del comune di Gizzeria, il quartiere odierno fu costruito invece durante il periodo fascista. ■  • Cattedrale dei Santi Pietro e Paolo • Ch. Matrice di S. Pancrazio • Sant. di S. Antonio di Padova • Sant. di S. Francesco di Paola • Sant. della Madonna del Soccorso • Sant. della Madonna di Porto Salvo • Sant. della Madonna della Spina • Ch. della Madonna del Carmine • Ch. di S. Maria Maggiore • Ch. di S. Domenico • Ch. della Veterana • Ch. di S. Teodoro • Ch. di S. Caterina • Ch. di S.Giovanni Battista • Ch. della Beata Vergine del Rosario • Ch. di S. Giuseppe Artigiano • Ch. dell’Annunziata • Ch. dell’Addolorata • Ch. di Santa Maria delle Grazie • Complesso San Benedetto • Casa di Francesco Fiorentino; • Casa di Franco Costabile; • Complesso monumentale di San Domenico; • Pal. Blasco; • Pal. D’Ippolito;  • Pal. Vescio  • Pal. Guzzi; • Pal. Giovanni Nicotera; • Pal. Niccoli; • Pal. Nicotera; • Pal. Nicotera; • Pal. Panariti; • Pal. Statti; • Pal. della curia vescovile; • Pal. del seminario vescovile; • Teatro Franco Costabile; • Teatro Grandinetti; • Teatro Umberto • Bastione di Malta • Ruderi del castello. • Bastione di Malta. • Porta di Sant’Antonio. • Scavi di Terina. • Grotte del monte Sant’Elia. • Abbazia benedettina di Sant’Eufemia • Mura secolari. • Monastero di San Costantino. • Musei • Museo archeologico lametino. • Museo diocesano d’arte sacra • Museo etnografico “Luogo della Memoria”• Museo della Tessitura • Parco Letterario “Franco Costabile”.

 

MAGISANO (24 km dal capoluogo)  
In origine era noto come Vucisano nome derivato dalle erbe presenti nella zona chiamate: Vucissi. ■Le poche famiglie stabilitesi presso Vucisano causa la peste, verso il 1200 si trasferirono da Trinchise verso una zona posta più a nord detta Zinnante ed altre nella zona denominata Casale Vecchio. Intorno al 1460 si trasferirono in maniera definitiva formando un unico villaggio nell’attuale territorio di Magisano. Magisano come casale di Taverna, appartenne ai Ruffo di Catanzaro fino al 1464 successivamente al demanio regio. Con l’istituzione dei comuni attraverso il decreto francese del 4/5/1811, Magisano veniva considerata frazione di Albi, nel 25/01/ 1820, invece veniva elevato a Comune autonomo. ■ Museo etnografico e risorgimentale • Ponte del diavolo • Santuario Maria SS della Luce  • Ch. dell’Immacolata • Pal. Grande • Pal. Corrado

 

MAIDA (30 km dal capoluogo)  
Sorge immerso tra il Tirreno e lo Ionio, arroccato su di uno sperone roccioso, nell’istmo più stretto di tutta la penisola. Borgo antico e centro di notevole interesse storico artistico e culturale.  ■  Incerta è l’origine di Maida, ma il ritrovamento, sul territorio, di varie lastre, usate come copertura di tombe a fossa, tipiche dell’età del ferro, tolgono ogni dubbio sulla presenza di insediamenti umani sin dal primo millennio a.C.. Vicende leggendarie invece vogliono far corrispondere il centro di Maida con l’antica Melanio, fondata dal mitico Italo, re degli enotri. ■  • Ch. di Santa Maria Cattolica • Ch. di San Nicola de Latinis • Il Castello Normanno. ■  Ogni anno, il 2 aprile, si festeggia nei ruderi del convento dei Padri Minimi, la Ciciarata. Dopo la messa vengono distribuiti gratuitamente pasta e ceci ai fedeli, in ricordo della carità del santo patrono; la comunità di origine maidese ad Ambler continua la tradizione insieme ad altre comunità di emigrati nel mondo. Negli anni in cui il 2 aprile cade durante la settimana santa, la festa viene posticipata.


MARCEDUSA (45 km dal capoluogo)  
Il centro abitato sorge in cima a un promontorio collinare sulle estreme pendici orientali della Sila Piccola, nella valle del fiume Tacina, a 288 metri sopra il livello del mare e ha un territorio comunale di 15,68 chilometri quadrati.  I suoi abitanti appartengono alla minoranza albanese d’Italia e parlano ancora la lingua arbëreshe. ■ Marcedusa, pur non potendosi fregiare di fatti riferiti che la rendono parte importante nella storia, ha fornito ritrovamenti archeologici che fanno risalire le sue origini all’età magno-greca. Si tratta di reperti (monete, anfore, statuette votive, armi ecc) risalenti all’età bruzia ed imperiale. Tutto ciò conduce in modo inequivocabile all’esistenza di uno spazio territoriale socialmente organizzato e commercialmente attivo sin dall’VIII secolo a.C. Tanto che fino a pochi anni fa il luogo veniva rapportato all’antica città greca di Petelia, attualmente riconosciuta nella moderna Strongoli.

 

MARCELLINARA (17 km dal capoluogo)  
Si estende su una superficie di 20 km², sorge alle pendici del Monte di Tiriolo e scende a balzi verso la depressione più profonda del rilievo calabrese detta Gola di Marcellinara o anche Garrupa, ad un’altitudine di 221 m s.l.m. A sud del paese si trova la Sella di Marcellinara, il punto più stretto d’Italia: in corrispondenza dell’Istmo di Marcellinara, il mar Ionio e il mar Tirreno distano appena 30 km. Grazie a questa sua posizione è possibile godere di uno straordinario panorama. Nelle giornate limpide è possibile scorgere all’orizzonte la sagoma della più alta delle isole Eolie: il vulcano Stromboli, circondato dalle isole più piccole. Il paese, famoso per la produzione di olio, di fichi e per le sue cave di gesso purissimo, usato anticamente, grazie alla sua straordinaria trasparenza, come vetro per le finestre. E poi i tessuti di seta e quelli ricavati tessendo le fibre delle ginestre. In alcuni libri antichi viene decantata la particolare bellezza delle donne di Marcellinara. ■  Una tradizione vuole che Marcellinara sia stata fondata durante la guerra dei vespri siciliani; un’altra vuole che, distrutta Omelea, antico nome del paese, i superstiti costruirono l’abitato chiamandolo “Marcellus in ara”, ossia Marcello sacrificato sull’altare, donde Marcellinara in onore e ricordo di un vescovo Marcello martirizzato durante le invasioni dei Saraceni. Probabilmente ci si riferisce a una delle tante incursioni saracene e in particolare a quella avvenuta nei primi anni del secondo millennio, allorquando gli invasori, salpati presso il Golfo di S. Eufemia, fecero razzia di una città posta in quel punto (l’odierna Nicastro, inglobata nell’attuale Lamezia Terme), e da lì presero a perseguitare la popolazione, che fuggì.

 

MARTIRANO (75 km dal capoluogo)  
Dal 1907 è chiamato Martirano Antico per distinguerlo da Martirano Lombardo. È situato a 381 metri s.l.m., sulla sommità di un poggio che si affaccia sulla bassa valle del fiume Savuto. L’etimologia di Martirano viene associata a Marte ed ai Mamertini. Si vuole che Martirano corrisponda all’antica Mamertum. Nei documenti scritti fino al XIX secolo, Martirano è chiamato anche Martorano; in quelli successivi al 1907, anno di fondazione di Martirano Lombardo (o Martirano Nuovo), Martirano è chiamato anche Martirano Antico. ■  Le più antiche fonti documentarie su Martirano risalgono al medioevo. Martirano fu contea sotto i Normanni; il suo territorio si estendeva anche su territori appartenenti agli odierni comuni di Martirano Lombardo, Conflenti, Motta Santa Lucia, Decollatura e alla frazione Mannelli Sottani di Soveria Mannelli. Rimase a lungo sotto il governo della famiglia Sanseverino. A Martirano fu imprigionato l’infelice Enrico VII di Germania, morto nel 1242 suicida per essersi gettato da cavallo mentre attraversava l’alta rupe su cui poggia la cittadina. La pericolosa erta fu causa della morte anche della regina Isabella d’Aragona (1247-1271), caduta da cavallo mentre attraversava il Savuto di ritorno dall’ottava crociata con il marito Filippo III di Francia.

 

MARTIRANO LOMBARDO (70 km dal capoluogo)  
L’abitato è posto sulle pendici del Molinara, un monte del Reventino. Il territorio venne scelto nel 1905 per accogliere gli abitanti di Martirano, un vicino paese distrutto da un terremoto. La progettazione del nuovo centro abitato prevedeva l’attuazione di un razionale piano regolatore che minimizzasse il rischio sismico in un contesto urbano esteticamente gradevole. Il centro è disposto secondo linee simmetriche, è posto fra i 500 e i 600 metri di altezza: il municipio è posto a 520 metri, mentre la chiesa parrocchiale del “Sacro Cuore di Gesù” è posta all’altezza di 543 m s.l.m. Ogni abitazione civile, rinforzata da una ossatura in legno e da catene di ferro, è dotata di giardino ed è posta a distanza di sicurezza dalle abitazioni vicine. Solo una piccolissima parte del territorio è pianeggiante. L’escursione altimetrica del territorio comunale è di ben 1.182 metri: da un’altezza minima 97 metri a quella massima di 1279 metri s.l.m. La gran parte del territorio comunale, collinare o montuosa, è ricoperta da boschi, e il centro abitato, per la presenza di numerosi giardini e di viali, si integra con l’ambiente naturale circostante. ■ La storia di Martirano Lombardo è intimamente legata a quella di Martirano Antico, un’antica città, già sede vescovile, che si vuole corrisponda all’antica Mamertum. Il terremoto del 1905 colpì duramente Martirano. Con l’aiuto di un Comitato milanese di soccorso, vennero prospettati l’abbandono del vecchio centro abitato e la costruzione un nuovo centro urbano che avrebbe dovuto accogliere la popolazione superstite. La sede più idonea per il nuovo centro abitato fu identificata nella località “Piano delle Sorbe” e il 23 ottobre 1907, appena due anni dopo il disastroso terremoto di Martirano, venne inaugurato un Martirano Nuovo con abitazioni in grado di ospitare 206 famiglie, oltre ad un asilo infantile e a un piccolo ospedale finanziati dai cittadini di Busto Arsizio. Nel 1929 il comune assunse la denominazione di “Martirano Lombardo”, in segno di riconoscenza per gli abitanti della Lombardia che così generosamente avevano curato la creazione del nuovo centro abitato. Il cambio del nome e lo spostamento della sede comunale da Martirano Antico a Martirano Nuovo provocarono, nell’antico centro urbano, una rivolta popolare che culminò nell’incendio del municipio (17/11/1929).  ■  • Il Viale dei Tigli • Il Promontorio del Vetriolo


MIGLIERINA (24 km dal capoluogo)  
Il borgo di Miglierina è poco distante dalla strada statale 280 dei Due Mari che collega Catanzaro a Lamezia Terme . Sorge nel punto più stretto della Calabria, a 500 m s.l.m. Il suo piccolo territorio, di appena 13 km², si eleva in altitudine fino ai 1.013 m di monte Portella partendo dai 250 m del fiume Amato.  ■  Miglierina è legata storicamente a doppio nodo con la cittadina di Tiriolo essendo stata suo casale, seguendone le vicissitudini feudali. Fu feudo dei Ruffo conti di Catanzaro, nel 1464 passò ai Carafa di Nocera e nel 1610 ai Cicala fino all’eversione della feudalità nel 1806. La sua fondazione risalirebbe ad aprile del 1531. Il nome di Miglierina deriva dall’espressione dialettale “megghia rina”, con cui si indicava la qualità arenosa del terreno su cui sorgeva l’abitato.  ■  • Palazzo Granato • Palazzo Barberio • Casa Marsico • Casa Arcuri • Chiesa di S. Lucia • Chiesa del Rosario • Mulino - loc. Corvo • Mulino (rudere) - loc. Rajaniti • Mulino - loc. Finocchio • Casale Melina - loc. Colle Melina • Casale - loc. Corvo • Casale Portella - loc. Acquicella • Vecchia Farmacia con arredi lignei • Fontana monumentale - loc. Fontanelle • Icone votive sparse nel territorio comunale.   ■  Dal 2011, durante il periodo natalizio si svolge la rappresentazione del Presepe Vivente, organizzato dal parroco don Pasquale Di Cello con la collaborazione di donne, uomini, bambini, anziani e giovani. Tutti impegnati ad interpretare i personaggi tipici del Presepe francescano riproponendo anche gli antichi mestieri e i piatti tipici che Miglierina conserva ancora gelosamente.

 

MONTAURO (31 km dal capoluogo)  
Le prime notizie sul centro urbano di Montauro risalgono all’ottavo secolo d.C., data citata nei documenti conservati al FONDO MORANO della Biblioteca Nazionale di Napoli. ■  da questa documentazione emerge che il primo nucleo era localizzato in un’area situata a nord dell’odierno paese, detta “MUCATU”, un gruppo di case successivamente abbandonate e per tale motivo dette oggi “case sdarrupate”. Un altro documento che segnala l’esistenza di Montauro risale al periodo post-bizantino, più precisamente all’anno 1096: si tratta di un placito “Dum vero in una dierum”, in cui il conte Ruggero concede un vecchio mulino ai lavoratori del costruendo monastero di Montauro. Il monastero citato nel documento era il monastero di S. Giacomo, quello che poi, dal 1614, prese il nome di “monastero di S. Anna”. Il nome “Montauro” è presente in molti monumenti greci e nelle parole “Oro Crusus”, vale a dire “monte d’oro” o “del colore dell’oro”. A tale proposito, sembra che il conte Ruggero abbia trovato nel sottosuolo del paese, precisamente sotto il monte Paladino, giacimenti d’oro, ma non poté estrarne il tesoro che aveva scoperto a causa dell’elevato costo della manodopera. Trova altresì spazio l’idea che tale nome derivi dal fatto che tutto il costone di Monte Paladino era ricoperto da ginestra, che fiorita assumeva il colore dell’oro. Su alcuni documenti troviamo anche il nome “Montaurus”, abbreviazione di “Mons Taurus”: si riferisce al fatto che sulla cima del monte Paladino, sembra sorgesse un tempio dedicato al dio Tauro. Su una vecchia cartina, reperibile presso la biblioteca comunale di Montauro, risulta il nome “Mentabro”, delle cui origini non si hanno spiegazioni. Nell’ottavo secolo, centinaia di monaci greci si rifugiarono lungo le coste dell’Italia meridionale, fondando molti monasteri e creando comunità civili e religiose. i Normanni fondarono nelle terre di Calabria uno stato di tipo feudale con a capo Roberto il Guiscardo e, a partire dal 1130, con il re Ruggero II. Iniziò così un lento processo di “occidentalizzazione” del meridione in generale e della Calabria in particolare, che portò Montauro, con la donazione di Ruggero a favore di San Bruno, ad essere sottoposto alla giurisdizione della Certosa e non più del Vescovo di Squillace. Proprio in questo periodo la popolazione originaria subì un notevole incremento: nel primo censimento effettuato nel 1276 gli abitanti risultarono 1175. Questo numero scese in modo vertiginoso nel 1476, quando una terribile pestilenza decimò drasticamente la popolazione. Nel 1515, con il ritorno dei Borboni, la popolazione può essere stimata intorno alle 1600 unità, di cui 340 donne addette ai telai familiari con la qualifica di “liatrice”. Dopo l’unità d’Italia si può affermare che la popolazione di Montauro, stabilizzatasi nel numero, raggiunse un livello d’organizzazione e strutturazione ottimo: vi era un discreto benessere: gli artigiani facevano apprezzare le loro opere, i contadini si dedicavano al lavoro dei campi e le donne erano affaccendate al telaio, al bucato, ai lavori domestici e alla cura dei propri figli.  ■   La Grangia di Sant’Anna • Chiesa Matrice San Pantaleone • Palazzi e Portali • Belvedere Villa Regina Elena • Museo della Grangia di Montauro (Palazzo Zizzi) • Museo della Musica)• Museo Chiesa San Pantaleone.

 

MONTEPAONE (34 km dal capoluogo)  
Il nome deriva dal latino Mons Pavonis, cioè Monte del Pavone, probabilmente perché un tempo, come si racconta, si allevavano i pavoni. Arroccato come un vecchio castello medievale sulla cima di una collina, s’affaccia sullo scenario del mar Jonio tra Copanello e Soverato. È riconoscibile a distanza dai due alti campanili che svettano in testa alle due navate laterali della Chiesa Parrocchiale. ■  È parere degli storici calabresi che Montepaone sorse sulle rovine dell’antica Aurunco. Si narra che Montepaone sorgesse nell’odierna Contrada Runci, a metà strada tra l’attuale centro e Montepaone Lido; proprio qui si trovano degli antichi ruderi del monastero di San Nicola. Non si sa con certezza quale sia la data di fondazione di Aurunco ma si formulano alcune ipotesi che vogliono Aurunco fondata dalla popolazione degli Aurunci laziali arrivati fin qui e stanziatisi nella piana compresa tra Montepaone Lido e Pietragrande, accanto alla piana di Sajnaro o Sanguinario (confinante, a sud, con il torrente Beltrame). Qui si affrontarono, in una sanguinosa battaglia, Annibale e i consoli romani Marco Claudio Marcello e Tito Quinzio Crispino durante la seconda guerra punica.

 

MOTTA SANTA LUCIA (78 km dal capoluogo)  
Si erge all’apice di una collina a 590 metri sul livello del mare, geograficamente posta nella bassa valle del Savuto, alle propaggini della Sila Piccola, al confine con la provincia di Cosenza.  ■ Nell’antichità Motta Santa Lucia ebbe altri nomi ed occupò vari siti. Sebbene non esistano notizie certe e prove documentali sulla sua origine, si ritiene comunemente che essa fosse stata fondata, col nome di Porchia, da una colonia romana dedotta nell’anno 556 a.C. presso Mamerto (oggi Martirano). La prima ubicazione, secondo alcuni storici regionali, si potrebbe collocare a sinistra del fiume Savuto, non lontano dalle cosiddette Macchie De Gattis. L’antica Porchia fu più volte danneggiata da terremoti, alluvioni e soggetta a scorrerie Saracene. Nel 950 o 951 d.C. fu completamente rasa al suolo dai Saraceni i quali, stabilitisi ad Amantea vi avevano creato la sede più importante di un loro Emirato. Gli abitanti di Porchia furono costretti a fuggire verso i monti circostanti e a rifugiarsi nei boschi dai quali, in seguito, si spostarono per fondare numerosi villaggi che assunsero il nome di Motta di Porchia.

 

NOCERA TERINESE (60 km dal capoluogo)  
È posto a 240 metri di altitudine sulle pendici di un colle rivolto verso la bassa valle del Savuto e verso il mar Tirreno. A 7 km dal nucleo principale vi è Marina di Nocera Terinese, ove il fiume Savuto sfocia nel mar Tirreno.  ■ Varie e molteplici sono le ipotesi circa l’etimologia della denominazione del centro abitato, a partire da una di chiara impronta fitonimica (con evidente allusione alla notevole presenza di noceti nell’ambito del suo territorio), sino ad altre di svariata natura. Secondo un’opinione fortemente probabile e molto seguita (Cfr. Michele Manfredi-Gigliotti, Terenewn, Memorie storiche sull’antica città di Terina, Editrice Pungitopo, 1984), il centro antropizzato, posto anch’esso tra due fiumi (Grande e Rivale, così come lo era stata l’antica Terina), assunse il nome di Nocera a seguito della distruzione, ad opera dei Saraceni, all’incirca intorno all’anno mille, della colonia crotoniate di Terina, dalla quale ultima proveniva la maggior parte dell’elemento antropico fondatore, scampato al massacro. L’etimo proviene dalla lingua greca ed è composto da neos (nuovo/a) e kairos (casa/abitazione). ■   • Ch. Matrice di San Giovanni Battista • Ch. dell’Annunziata • Ch. di San Martino • Ch. di San Francesco • Portale del Palazzo Procida • Nel territorio dell’attuale Nocera Terinese si trova il sito della città magnogreca di Terina, da molti collocata sul Piano della Tirena, massiccio costiero lambito alla sua base dei corsi dei fiumi Savuto e Grande, che si uniscono poco prima di incontrare il mare.

 

OLIVADI (43 km dal capoluogo)  
Piccolo centro delle preserre nella parte meridionale della provincia.   ■ Il centro abitato aveva l’originario nome greco di libàdion, termine che indicava una zona piana, erbosa, umida, pratosa. Da ciò riusciamo a comprendere l’origine del nome di Olivadi che ci è pervenuto oggi per com’è, trasformandosi nei secoli (per latinizzazione e volgarizzazione) da: tò libàdion (t) o libàdion (VIII-IX sec.) - libàthion (XIII sec.) - Livàdi o lolivàdi (XVI sec.) - Olivadi (dal 1700). È chiaro quindi che il toponimo attuale di Olivadi, nulla ha che fare con l’olivo! Olivadi non vanta un glorioso passato né personaggi o eventi che ne abbiano esaltato la notorietà. Pur tuttavia, è importante sapere che esso ha dato i natali a persone che, per l’epoca in cui vissero e per le allora condizioni sociali della Calabria, hanno di certo contribuito ad accrescere quel lustro che oggi, purtroppo, è negato a questa piccola comunità. Anche Olivadi, come quasi tutti i casali della zona si emanciparono ad Universitas ossia a comunità con un minimo di organizzazione interna e di autonomia amministrativa sia rispetto allo status di casale rurale sia rispetto al centro sede del feudatario, dopo l’avvento degli Aragonesi agli inizi del ‘400.

 

PALERMITI (33 km dal capoluogo)  
Sorge a 496 metri di altitudine sulle pendici orientali delle Serre, a breve distanza dal Golfo di Squillace. ■  Storia della Nuova Chiesa. Nel 1783 la vecchia chiesa di San Giusto fu distrutta dal terremoto. Così fu sistemata una cappella nell’attuale piazza dei Martiri per sostituire la chiesa distrutta, passò molto tempo. Si narra che giorno dopo giorno, dove oggi è presente l’attuale chiesa, si notava un mucchio di pietre sempre più grande. Nessuno riusciva a spiegarsi chi trasportasse quelle pietre. Una notte una signora curiosa rimase affacciata alla finestra per scoprire il mistero; A mezzanotte in punto vide una bellissima signora con un mantello azzurro trasportare una pietra sulla testa, la signora misteriosa fece tre viaggi, alla fine del terzo viaggio si allontanò lentamente lasciando una scia di luce dietro di sé (si racconta che la misteriosa donna fosse la Madonna). Non c’erano dubbi, la nuova chiesa doveva essere costruita in quel luogo.   ■S. Giusto: Il 14 Luglio si celebra la festa del Santo Patrono con messa, processione per le vie del paese. Madonna della Luce : Il 2 Luglio si celebra ‘a hesta picciula (la festa piccola) della Santa Patrona con messa, processione per le vie del paese e concerto bandistico. L’ultima domenica di Agosto si celebra ‘a hesta randa (la festa grande) con messa , processione per le vie del paese, fiera, concerto bandistico, concerto di un cantante di musica leggera italiana e fuochi pirotecnici. A chiudere la festa della Madonna della Luce è l’ottava (otto giorni dopo la festa grande). Il costume tipico di Palermiti come negli altri paesini della calabria è la pacchiana. Il costume è composto da: pannu (sopravveste colorata); cammisa (sottoveste bianca); hoddala (grembiule); juppuna (corpetto); tuvagghia; manichi (manicotti); gunneda (gonna raccolta posteriormente). La tradizione del paese voleva che le signore sposate indossassero il pannu di colore rosso e le single di colore blu o verde e le vedove di colore nero, per riconoscere il loro stato civile.

 

PENTONE (18 km dal capoluogo)  
È posto a 648 metri s.l.m. sulle pendici meridionali della Sila Piccola. Nei pressi dell’abitato sorge, a 707 metri s.l.m., il santuario della Madonna di Termini, che è meta di pellegrinaggio in occasione dei solenni festeggiamenti che si svolgono ogni anno la seconda domenica di settembre. Probabilmente deriva dal latino penta (sasso), che ritroviamo anche nel dialetto calabro con il nome di pentone che significa zolla. ■   • Sant. Madonna delle Grazie di Termine • Chi. di San Nicola di Bari • Pal. Marini • Pal. Capilupi.   ■Festa della Madonna di Termine (2.a domenica di settembre).

 

PETRIZZI (44 km dal capoluogo)  
I suoi abitanti sono chiamati i petrizzesi. Il comune si estende su 21,5 km². Nelle vicinanze dei comuni di Montepaone, Gagliato i Centrache, Petrizzi è situata a 33 km al Nord-Est di Vibo Valentia la più grande città nelle vicinanze. Situata a 391 metri d’altitudine.  ■  • Ch. di Maria SS della Pietra • Borgo del convento di Santa Maria della Pietà • Ch. della Santissima Trinità • Ch.della Madonna della Provvidenza.

 

PETRONÀ (48 km dal capoluogo)  
Dal greco bizantino, ossia “di pietra”, è un comune italiano di 2 565 abitanti. L’abitato è situato a 889 metri di altitudine nell’area geografica della Sila Piccola. Condivide, con il comune crotonese di Mesoraca, la cima del monte Femminamorta (m 1730), la terza cima più elevata della Sila Piccola, dopo il monte Gariglione (m 1765) e il monte Scorciavuoi (m 1745). Il suo territorio è compreso nel Parco nazionale della Sila. ■ Petronà ha una “sua” storia, anche se di pochi secoli; è una isola linguistica ed etnica nell’ampia area dell’Alto Crotonese, ha una “sua” cultura, nel senso più ampio della parola, notevolmente più sgombra di residui medievali rispetto ai paesi limitrofi. È una cultura nata dal diuturno sforzo di sottrarsi al bisogno, attraverso una tipica solidarietà condadina, tesa sempre all’elevazione sociale e morale dei suoi figli.Le prime umili abitazioni sorsero nel cuore dell’attuale centro storico, oggi rione “Valle”, in territorio di Mesoraca, nella prima metà del ‘700. “Villaggio d’aria buona, feudo della casa Altemps (di Mesoraca)” lo definisce Giuseppe Maria Alfano nella sua “Istorica descrizione del regno di Napoli, anno 1795” e aggiunge che a fine settecento contava 874 anime. In realtà l’ultimo intestatario feudale della baronia di Mesoraca e dei casali di Arietta, Petronà e Marcedusa fu Marco Sittico Altemps. Non lontano da Mesoraca che poco più di dieci Km, resta il piccolo nucleo abitato di pastori e contadini estraneo ad una autentica simbiosi con l’antico centro di cui è territorio. È soggiorno ambito invece, per l’abbandonza dei pascoli montani, dei pastori provenienti dall’altopiano della Sila: da Colosimi, Decollatura, Soveria Mannelli, Serrastretta, Parenti, Carlopoli, Panettieri, Castagna e Conflenti. Sono pastori e contadini che portano con sè tradizioni agricolo-pastorali, tenacia ed intraprendenza, sempre fide amiche del bisogno.La parlata petronese, inconfondibilemente silana, è rimasta incontaminata, anche per via del secolare isolamento geografico, e fedele alle sue origini.

 

PIANOPOLI (28 km dal capoluogo)  
Ubicato a 250 m s.l.m nell’hinterland Lametino, il paese è collocato nel punto più stretto d’Italia, nell’Istmo di Marcellinara. Da Pianopoli si gode, specialmente in inverno, del tramonto del sole nel mare, nel Golfo di Sant’Eufemia, con un’ottima visuale sulle Isole Eolie ed in particolar modo l’Isola di Stromboli. In certe occasioni si riesce a scorgere sopra il Monte Poro la cima dell’Etna. ■ Era l’anno 1638, la regione ere investita da una serie di movimenti sismici che ne funestavano il territorio, rendendo le popolazione inerme ed alla mercè della paura. I danni furono molto consistenti ed il top della potenza sismica si esibì la sera del 27 marzo, quando una scossa di intensità superiore alle altre rase al suolo interi Paesi della Piana di S. Eufemia causando migliaia di morti. I sopravvissuti cercarono scampo nei campi appena fuori dei centri abitati e da una di queste migrazioni forzate ebbe origine Pianopoli. Parte degli abitanti sopravvissuti di Feroleto, si spostarono più a valle in una zona pianeggiante nei pressi della Chiesa di Santa Croce che era rimasta illesa alla furia del sisma ed iniziarono a creare una nuova comunità che andò man mano ingrandendosi. Tutto questo fu possibile perché gli eventi sismici continuavano a ripetizione e nei centri abitati i danni erano sempre rilevanti mentre le poche costruzioni intorno alla Chiesa di S. Croce resistevano riportano lievi danni.  ■   • Parrocchia di San Tommaso d’Aquino • Ch. dell’Addolorata • Ch. di Santa Croce • Ch. di Sant’Agostino • Ch. di S. Giuseppe.

 

PLATANIA (44 km dal capoluogo)  
Sorge sull’estremo lembo di uno dei contrafforti del monte Reventino del massiccio silano, che, aprendosi a ventaglio, degradano dolcemente verso la pianura lametina ed il golfo di Sant’Eufemia. Il borgo, affacciato sulla piana di Lamezia Terme, si è sviluppato sulle pendici meridionali del monte Reventino a 750 metri di altezza s.l.m. Il suo territorio (26,84 km²) è compreso tra 350 e 1417 metri di altitudine (cima del monte Reventino) e confina con i comuni di Decollatura, Conflenti, Lamezia Terme, Serrastretta. Dista 50 km da Catanzaro.  ■•Novena di San Michele Arcangelo - dal 19 al 28 settembre. Oltre alle abituali veglie di preghiera che si protraggono dal 19 al 28 settembre all’interno della chiesa madre, parallelamente si svolgono altre veglie nei diversi nuclei abitati, che si trovano nel territorio comunale, allorché la statua del Santo è portata in processione. La sera del 27 il simulacro rientra in paese accompagnato da una fiaccolata che anima il corso principale. • Novena di Natale - dal 16 al 25 dicembre Lungo le vie del paese, alle prime luci dell’alba, è consuetudine suonare melodie natalizie per annunciare l’imminente nascita di Gesù Bambino. • La Focara - 24/12 La notte della vigilia di Natale si accende un falò (focara) davanti alla chiesa madre, per aspettare la nascita del Redentore. • La Strina - dal 24/12 al 6/01. È un tradizionale motivo musicale che, di casa in casa, viene cantato da gruppetti di amici durante le ore della notte. Le famiglie offrono agli ospiti ogni tipo di leccornia.

 

SAN FLORO (20 km dal capoluogo)  
Grazie alla sua posizione geografica che domina la Valle del Corace, offre un paesaggio ricco di bellezze naturali ancora incontaminate dove storia, cultura e tradizioni si intrecciano. Posizionato a 264 mt sul livello del mare offre una zona panoramica che sembra una enorme terrazza; di fronte si presenta il capoluogo della Regione, con dietro i monti della Sila, mentre ad est c’è l’azzurro del mare che insieme, armoniosamente, disegnano l’orizzonte. La sera ciò che si presenta è veramente spettacolare: mille diamanti  punteggiano il cielo ed illuminano la vallata creando  un’ atmosfera magica ed incantata. ■ Questo piccolo borgo affonda le sue radici nella preistoria, nel Neolitico. Alcuni ritrovamenti archeologici testimoniano che, millenni più tardi, fosse una colonia magnogreca di Scolacium. L’intento dei colonizzatori era quello di sfruttare al massimo le ricche potenzialità del territorio delimitato da frutteti, distese di vegetazione adatte al sostentamento del bestiame e floridi boschi ricchi di legname. Subì gravi danni dal terremoto del 1783 in cui fu distrutta l’antica chiesa di Santa Caterina. Dopo l’ordinamento amministrativo di Championnet venne inserito nel cantone di Catanzaro e nel 1807 i francesi lo inserirono nel governo di Squillace. Nel 1811 fu assegnato al circondario di Borgia, conferimento che rimase invariato anche dopo il riordino disposto dai Borbone nel 1816.  ■Il nome del paese riflette la forte venerazione verso il suo santo patrono, appunto, San Floro Martire, che poiché non aveva abnegato i suoi ideali di fede cristiana, fu arrestato, condannato, calato in un pozzo e sepolto vivo. Ogni anno, il 18 agosto, i Sanfloresi onorano il proprio santo patrono con una messa solenne e la tipica processione per le vie del paese. Degna di nota è la tradizionale lavorazione dei fichi bianchi secchi, essiccati secondo l’antico metodo dell’essiccazione naturale al sole. San Floro dai primi del ‘900 è conosciuta come la “Terra dei fichi”.  Ancora oggi sono l’agricoltura e l’industria alimentare a rappresentare una risorsa economica importante, ma non bisogna dimenticare la produzione e lavorazione della seta, dall’allevamento dei bachi sino al prodotto finale. ■  I tanti telai ed attrezzi di uso comune donati dalle famiglie di San Floro hanno fatto nascere un museo apposito. La città, inoltre, ha un centro storico molto vivace che si popola soprattutto d’estate con i tanti emigranti che rientrano nel paese d’origine: oltre alle bellezze naturali ed alla chiesa di San Floro, infatti, la città è nota per i prodotti tipici come i fichi bianchi seccati al sole, questi sono tra i più apprezzati della zona. Altra fonte di economia è la produzione di grano biologico e derivati come il pane Brunetto, prodotto da forno locale vincitore di diversi premi e riconoscimenti su scala nazionale a produzione di seta e prodotti derivati dal gelso.

 

SAN MANGO D’AQUINO (65 km dal capoluogo)  
Sorge sul versante di una collina che si affaccia sul mar Tirreno, con terreni di natura argillosa, e confina con M. Lombardo, N. Terinese e Cleto. L’abitato è a circa 460 metri di altezza sul livello del mare. I corsi d’acqua, oltre il Savuto  sono il Casale (chiamato pure Garice o Gavice) ed il torrente Giurio, a nord, che delinea parte del confine con Martirano.  ■  Il primo nome del paese è stato “Muricello”, poi “Casale nuovo” e infine “Santo Mango”. Le varie denominazioni sono riportate in tutte le fonti classiche, e trovano riscontro in altri importanti documenti, fra i quali l’atto di erezione della parrocchia, stipulato nel 1648 e consultabile presso l’archivio vescovile di Tropea, ed i registri parrocchiali, che partono dal 1653 e sono conservati nell’archivio di San Mango. Il toponimo “San Mango” era una denominazione molto diffusa, all’epoca. Esso ci riporta a S. Magno, un pagano vissuto nel III secolo, il quale donò i beni ai poveri e si convertì al Cristianesimo; diventato vescovo di Trani, fu perseguitato dai soldati dell’imperatore romano e visse a Fondi, Aquino, Sora e Pico; morì martirizzato nel 252. Sulle carte geografiche, la denominazione attuale appare sotto il dominio di Napoleone ed è riportata nell’Atlante Geografico del Regno di Napoli pubblicato nel 1812. Prima di questa data, il paese è indicato con il nome “Savuto”, mentre l’attuale centro storico di Savuto è identificato con il nome di “Pietra piana”. La denominazione attuale è riscontrabile pure all’interno della chiesa madre, dove è conservata la statua di san Tommaso d’Aquino, protettore del paese: ai piedi del simulacro, che risale al 1717, si possono leggere ancora oggi le parole: “Universitas Sancti Manghi””. Finito il Risorgimento e proclamato il Regno d’Italia, il Governo aggiunge al nome “San Mango” la parola “d’Aquino”, per distinguere il comune dagli altri San Mango.
65 km  • ( 6 - B1)  

SAN PIETRO APOSTOLO (33 km dal capoluogo)  
Il paese fu fondato dai contadini fuggiti da Motta Santa Lucia dopo il terremoto del 1638. ■ Il paese fu amministrato dal feudo di Tiriolo fino alla fine del XVIII secolo, quando ottenne l’autonomia ai sensi della legge n°14 del 19 gennaio 1807, adottando il nome di “San Pietro a Tiriolo”, ponendolo sotto la giurisdizione di quella che fu allora chiamata Calabria Ulteriore, che consisteva pressappoco alle attuali province di Catanzaro, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia. Il 4 maggio 1811 il comune ricevette il nome di San Pietro Apostolo, attestando la sua effettiva separazione da Tiriolo che rimase, tuttavia, sede amministrativa. Durante il Risorgimento Italiano, il rivoluzionario Giuseppe Garibaldi, capo della Spedizione dei Mille proveniente da Maida, fu un gradito ospite del suo sostenitore Anselmo Tomaini (già condannato a morte dai Borboni per essere stato uno dei i sostenitori dei movimenti di Maida e Filadelfia) presso una struttura denominata “Palazzo Tomaini”. La visita di Garibaldi è commemorata da due tavolette poste sulle pareti di Palazzo Tomaini nel 1887 e 1961. Nel corso del XVII secolo, un ruolo importante fu svolto nell’economia di San Pietro dalla raccolta e dalla lavorazione della ginestra, una pianta fibrosa che veniva ammorbidita grazie alle acque del fiume Amato (corso che scorre nei pressi del paese). Ciò ha creato una fibra che è stata utilizzata dai filatori locali per la produzione di tessuti. Anche l’allevamento del baco da seta era molto comune: i vermi venivano nutriti con foglie di gelso bianco presenti nella zona. La seta così prodotta veniva quasi interamente lavorata localmente e per la maggior parte commercializzata a Catanzaro, Nicastro e anche nella vicina città di Serrastretta. ■  • Ch. di San Pietro Apostolo • Ch. del Carmine; • Calvario; • Ch. della Lettera; • Pal. Mazza; • Pa. Tomaini; • Pal. Cianflone; • Pal. Falvo; • Pal. Grandinetti; • Pal. De Santis; • Mulini: lungo la riva del fiume Amato, corso d’acqua che scorre nei pressi del paese, si possono osservare cinque mulini; • Frantoio Grandinetti; • Cimitero Monumentale.   ■ • La Pigliata o “A Pigghiata”, è un’opera sacra che rappresenta la passione e la morte di Gesù Cristo, scritta in prosa nel 1880 da un anonimo cittadino di San Pietro e prodotta per la prima volta il 18 febbraio dello stesso anno. • La Festa di San Pietro, celebrata il 29 giugno; • La Festa della Madonna del Carmelo, celebrata dal 14 al 16 luglio; • La Festa della Madonna della Lettera, celebrata l’ultima domenica di settembre; • La Festa della ciliegia è una ricorrenza che si svolge durante l’ultima o la penultima domenica di giugno.

 

SAN PIETRO A MAIDA (36 km dal capoluogo)  
Si sviluppa su un pianoro a 355 m sul livello del mare, dominato dal monte Contessa, ed ha una superficie territoriale pari a 16,35 km². La natura del suolo, molto favorevole all’agricoltura, alla coltivazione dell’ulivo in particolare, ha consentito un incremento nello sviluppo di tale coltura, tant’è che il territorio dispone di un’alta superficie olivetata rispetto alla superficie agricola utilizzata.  ■Il centro storico si sarebbe sviluppato da un villaggio di bonifica sorto nel XV secolo, denominato “Petrum”. Testimonianze più accreditate inducono tuttavia a pensare ad origini più antiche, forse contemporanee al primo insediamento della vicina Curinga (IX-X secolo). È documentato comunque che la parte più a valle del suo territorio fu per lunghissimo tempo un’importante stazione del Paleolitico inferiore arcaico (700.000-500.000 anni fa). Centinaia di reperti litici, ritrovati attraverso diversi scavi, a partire dal 1973, riportano infatti la San Pietro preistorica ad un’epoca del Quaternario, il Pleistocene. Attualmente l’abitato, si distende intorno all’antica viabilità rurale delle Pendici di Corda. ■  centro storico • ch. matrice di S. Nicola di Bari (XVI secolo) • ch. di S. Maria

 

SAN SOSTENE (43 km dal capoluogo)  
Il paese geograficamente è diviso in una parte marina e in una montana. La parte montana del paese è attraversata dalle Serre Calabresi. Suggestive sono le zone in alta quota, ricoperte da faggete, pini, abeti, mogano e soprattutto castagneti. Sono presenti su questo territorio due diversi torrenti/fiumare: il Melis e Alaco. Il torrente Alaco nasce nei monti vicini e si riversa nel lago artificiale della Lacina. Lungo il suo percorso vi sono paesaggi naturali, caratterizzati da pietra granitica, che lungo il percorso in località “Momo” forma suggestive cascate e giochi d’acqua. Luogo ideale per la presenza di fauna acquatica, come la trota stellata di un colore leggermente rossastro.  ■  Si ha notizia della presenza di insediamenti umani in questo territorio già in periodo Magno-Greco, grazie soprattutto alle analisi della toponomastica. Le zone che si suppone che fossero abitate sono quelle di Portonuovo e Pacile, che è il promontorio che si eleva al di sopra della pianura marina. Tuttavia tali contrade potrebbero essere state già abitate nel periodo del Re Italo. Al sopraggiungere della malaria e soprattutto delle scorribande saracene l’abitato fu trasferito nella zona dello Spirito Santo ove sino agli anni ottanta esistevano i resti della chiesa del Romitorio, oggi quasi completamente scomparsa. Si suppone che in questa zona siano ancora presenti delle cellette del medesimo Romitorio. Le contrade abitate dell’attuale Borgo sono il risultato di diverse contrade che erano abitate da diversi gruppi di famiglie, che sotto la gestione religiosa dei monaci Basiliani si sarebbero raggruppate nel sito di San Sostene. ■   • Mad.del Rosario • S. Maria del Monte

 

SAN VITO SULLO IONIO (44 km dal capoluogo)  
I Normanni lasciarono il segno nella Valle del Beltrame con la fondazione di numerosi centri urbani. ■Tra questi (XI-XII secolo d.C.) anche San Vito sullo Jonio. Di quel periodo restano le antiche mura di una diga in zona “Murorotto” probabilmente utilizzata per creare un lago pescoso e irrigare i campi.   ■San Vito sullo Ionio, in passato, era noto per le attività commerciali e artigianali. La lavorazione della seta e le particolarissime pipe in radica, prodotte in grande quantità, occupavano tante famiglie. Lo sviluppo del terziario e l’emigrazione hanno cancellato l’economia rurale. Pochi custodi degli antichi saperi ormai, con molta passione, portano avanti questi mestieri.

 

SANT’ANDREA APOSTOLO DELLO IONIO (43 km dal capoluogo)  
È situato nella parte meridionale della provincia di Catanzaro. ■  Durante il periodo della Magna Grecia la regione era ricca e prospera. I Romani, sconfitto Pirro (275 a.C.), occuparono i territori ionici e questa occupazione segnò la decadenza economica degli stessi territori. Durante il basso Impero fu costruito un castello, il Cocinto, a difesa delle invasioni barbariche. Alcuni lo localizzano nell’antica Cecina, oggi Satriano, altri sulla punta di Stilo, per altri, infine, nell’odierna Sant’Andrea e sui resti del fortilizio romano sarebbe sorto il castello del XVI secolo. Il latifondo, frattanto, con la sua economia fondata sullo sfruttamento del territorio, determinò, nel tempo, l’abbandono di molti villaggi da parte delle popolazioni locali e conseguentemente le terre finirono per essere progressivamente coperte di vegetazione spontanea. La zona tra i fiumi Alaca e Salubro fino al IX secolo si presentava, pertanto, incolta e selvatica. I monti erano ricoperti da foreste ricche di querce, faggi e altre piante selvatiche; le zone collinari verso la marina, invece, erano verdeggianti per piante arbustive come mirtilli, corbezzoli. ■  • San Nicola di Cammerota • Chiesa dell’Assunta al Campo  •  Chiesa di Tutti i Santi (detta anche Santa Caterina d’Alessandria) • Sant’Andrea Apostolo • Santi Apostoli Pietro e Paolo • Santa Maria in Arce • San Nicola • Sacro Cuore di Gesù • Chiesa di Sant’Andrea marina • Cappella di Palazzo Scoppa • Cappella del Purgatorio • Tempietto di Santa Barbara • San Rocco  •  Cappella della Villa della Fraternità.

 

SANTA CATERINA DELLO IONIO (54 km dal capoluogo)      
Si affaccia sullo Ionio meridionale catanzarese; gli abitanti sono ripartiti fra il centro storico, distante circa 6 chilometri dal mare, e la frazione marina di più recente urbanizzazione. Nel 2015 Santa Caterina dello Ionio si aggiudica, per l’ennesima volta, la Bandiera Verde delle Spiagge, l’autorevole riconoscimento dei pediatri italiani, premia questo comune dal 2008, per la qualità delle spiagge a misura di bambino.  ■  La data di fondazione di questo comune è incerta: di sicuro prima dell’anno 1000, a causa degli assalti dei Saraceni, gli abitanti dei vari villaggi si rifugiarono in luoghi isolati della zona, scegliendo infine il poggio sul quale oggi sorge Santa Caterina dello Ionio, situata a quasi 500 m di altezza sul livello del mare. Intorno al 1060 faceva parte della contea di Badolato. Il primo signore del paese fu, nel 1272, Rinaldo Conclubet. Nel 1487 la casata d’Arena dei Conclubet, coinvolta nella congiura dei Baroni, fu spodestata e la cittadina venne consegnata al conte Alberico da Barbiano. Negli anni seguenti si susseguirono poi diverse casate: dai Cordova ai Galeotta, ai Gallelli di Badolato, dai Gioieni ai Colonna. I Marzano nel XVII secolo la dotarono di un castello. Nel 1799 il possedimento passò ai Di Francia che lo tennero fino all’eversione della feudalità (1807). ■   • Ch. Matrice  •  Ch. San Pantaleone  •  Ch.dell’Immacolata Concezione  •  Ch. del Rosario  •  Ch. di Santa Caterina d’Alessandria   •  Ch. della Madonna della Neve  •  Ch. di San Gabriele Arcangelo  •  Convento di San Francesco  •  Torre Sant’Antonio.

 

SATRIANO (41 km dal capoluogo)  
Si spinge dal territorio pianeggiante sul mar Ionio, sino alle colline. La popolazione è distribuita fra la zona marina e la collina (Satriano centro) dove hanno sede gli uffici comunali. Nella parte alta del paese vi sono molti castagneti, mentre in collina vi sono molte piante d’ulivo. ■  Satriano, allo stesso modo di Cardinale, venne governato dapprima dalla famiglia Gironda, successivamente dalla famiglia Ravaschieri ed infine dalla famiglia Filangieri. Satriano come tantissimi altri centri della Calabria subì dannose conseguenze dalla serie di terremoti che iniziarono il 5 febbraio 1783 e si conclusero con una ultima e tremenda scossa il 28 marzo 1783. Giovanni Vivenzio scrisse: “sembra come altrove abbiamo detto, che il sotterraneo scoppio della materia efficiente il Tremuoto de’ 28 marzo fosse stata nelle contrade di Girifalco o sia nel centro della parte più stretta della Provincia poiché quanto più i Paesi si accollano a detto luogo tanto maggior danno si osserva aver essi sofferto. Infatti lo Stato di Satriano che aveva patito delle lesioni per le prime scosse in quella de’ 28 marzo ebbe considerevoli rovine essendo caduti molti edifici e gli altri rimasi inabitabili. I campi di questo Stato producono Vettovaglie di ogni genere Olio, Seta, Bambagia e Castagne”. Dunque, fu proprio il terremoto del 28 marzo 1783 quello che distrusse maggiormente Satriano che invece subì danni minori dalle altre scosse avvenute nei mesi precedenti.  • Ch. Matrice di S. Maria di Altavilla  • Torre “Ravaschiera” 

 

SELLIA (20 km dal capoluogo)  
L’abitato è posto a 560 metri di altitudine nell’area geografica della Presila Catanzarese, lungo il versante che converge verso il golfo di Squillace. ■  Sellia fu fondata, tra il IX e X secolo, da gruppi di profughi provenienti dall’antica città costiera di Trischene, i quali, per sfuggire ai terribili assalti dei Saraceni, si rifugiarono sul monte Sellion, la cui posizione rupestre garantiva una maggiore difesa contro gli attacchi nemici. Qui essi diedero vita ad un nuovo centro che chiamarono Asilia, da cui derivò poi il nome Sellia. La città si era ingrandita per una continua aggregazione di genti latine e greche. I latini, guidati da Julo Catimero, si stabilirono in direzione sud-est, sul monte Sellion, dove fondarono Asilia. I greci, invece, si divisero: alcuni gruppi si fermarono nella media valle del Simeri, edificandovi un castello; altri, invece, andarono oltre, verso i boschi di Peseca dove, tra le montagne, costruirono una fortezza chiamata Taverna. Sellia, così come Simeri, assunse la funzione di avamposto difensivo sulla via d’accesso alla nuova città di Taverna. In quello stesso tempo venne fondata anche Catanzaro. Tuttora si dibatte sull’effettiva esistenza di Trischene, da cui secondo la tradizione è stata poi fondata la città di Sellia. Tuttavia diversi reperti archeologici fanno supporre che l’origine di Sellia sia anteriore al IX-X secolo. In quell’occasione furono rinvenuti, infatti, un’ascia di bronzo di fattura greca anteriore a quella recuperata nella valle del Coscile, dove era ubicata l’antica città di Sibari. Della suddetta scure, poi trafugata, manca però qualsiasi tipo di documentazione storica. In realtà, secondo una consolidata tradizione popolare mai pienamente documentata si presume che, nel luogo del ritrovamento, fosse edificato un piccolo tempio dedicato alla dea Pallade, da cui prese volgarmente nome il burrone (Pallara).  ■   • ch. S.Nicola di Bari  •  ch.del Santissimo Rosario  •  ch. Madonna della Neve  •  Castello medievale.

 

SELLIA MARINA (23 km dal capoluogo)  
Quarto comune più popolato della provincia, dopo il capoluogo, Lamezia Terme e Soverato, è situato al vertice settentrionale di un’area densamente popolata che passa da Catanzaro e arriva fino a Soverato. Nel 2018 per la prima volta si aggiudica la Bandiera Blu, autorevole riconoscimento internazionale assegnato dalla FEE. Viene riconfermato nel 2019, nel 2020, nel 2021 e nel 2022. Ha una superficie di 4.086 ettari e si trova nella zona settentrionale del Golfo di Squillace, tra i fiumi Simeri e Frasso; quasi 14 i km di ampia spiaggia compresi nei confini comunali. ■ È comune autonomo dal 1956, con legge istitutiva N. 1439 del 13 dicembre dello stesso anno. Prima di tale data il suo territorio apparteneva ai comuni di Sellia, Soveria Simeri, Magisano, Albi, Sersale e Cropani tutti in provincia di Catanzaro. Con d.P.R. del 27 ottobre 1958, n. 1078 invece ne sono stati determinati i confini, approvando la pianta planimetrica e la relazione descrittiva.  ■ • Parr. Madonna del Carmine • Parrocchia Ss. Rosario  • Cappella De Seta

 

SERRASTRETTA (37 km dal capoluogo)  
Questo comune è attraversato dal torrente La Fiumarella e si estende nella parte settentrionale della provincia di Catanzaro, tra i monti Condrò e Potilella. Domina la valle del fiume Amato. Il Territorio è ricco di boschi con castagni, querce e faggi. Il Comune è posto alle pendici della Sila e il suo territorio rientra, in parte, nell’Istmo di Marcellinara (il punto più stretto d’Italia). Il territorio comunale arriva a 1198 metri di altitudine massima s.l.m (Monte Condrò) e arriva a sfiorare i 100 metri s.l.m nei pressi della frazione di Nocelle (località Pantanelle). L’escursione altimetrica comunale è pari a 1098 metri. Il territorio è collocato in una gola tra le serre. A Serrastretta sul Monte Condrò (poco prima del comune) vi è una incontaminata e secolare faggeta molto vasta e variegata dove è presente un laghetto. ■  Serrastretta fu fondata nel 1383 dalle famiglie Bruni, Mancuso, Fazio, Talarico e Scalise di Scigliano che, per sfuggire alle persecuzioni ebraiche, trovarono rifugio in quest’area tra due Serre. Il nome Serrastretta è stato dato per la prima volta da alcuni abitanti di Taverna, dirigendosi verso Nicastro, hanno notato questo piccolo abitato “stretto tra due Serre”. Nel corso dei secoli Serrastretta ha sempre goduto di un’ottima fama, grazie anche alla ricca famiglia D’Aquino che le fece conoscere un notevole sviluppo economico nel campo dell’artigianato e nella diffusione del commercio del baco da seta. Serrastretta è stata anche uno dei primi centri abitati del Sud Italia ad avere l’energia elettrica, ancora prima di Catanzaro. Nella parte bassa del paese vi sono i resti della centrale idroelettrica gestita dalla S.I.E.S (Società Idro Elettrica Serrastrettese) finanziata da una abbiente famiglia del capoluogo (correva l’anno 1908).  ■Nel comune sono presenti due gruppi folkloristici che da anni conservano e promuovono i canti e i balli tipici del territorio. La Pro Loco ha valorizzato l’antico palazzo Pingitore rendendolo fulcro della sua manifestazione “Serrastretta nel Tempo” e ha spianato la strada all’amministrazione comunale per la sua ristrutturazione. Oggi la struttura accoglie il Museo della Civiltà Contadina ed Artigiana e la sede della Pro Loco che gestisce il museo. La famosa cantante Dalida ha origini di Serrastretta e l’associazione a lei dedicata ne evoca la sua memoria e la sua fama artistica con frequenti manifestazioni. Nel capoluogo vi è un anfiteatro a lei dedicato che diventerà un auditorium coperto per gli eventi dell’intera zona del Reventino. Nel 2007 è stata inaugurata la casa museo dedicata alla cantante dove sono esposte stampe e oggetti a lei collegati. A Serrastretta inoltre è presente la sinagoga “Ner Tamid del Sud” (luce eterna del sud) fondata nel 2006 da Rabbi Barbara Aiello, la prima rabbino donna in Italia.  Da sempre è un centro importante per la produzione e il commercio di prodotti agricoli di ottima qualità come patate e pomodori. La raccolta delle castagne è diffusa e praticata in tutto il comune. Sulle pendici del monte Condrò sono numerose le aziende agricole che praticano l’allevamento di suini, ovini e bovini importanti per la produzione di ottimi formaggi e salumi. Ma la maggior parte delle attività si basano sulla lavorazione del legno che da sempre mette Serrastretta al primo posto, nel meridione, per la produzione di sedie. Il modello preferito in assoluto è quello della “Tredici Bis” particolare per la sua spalliera su cui vi è un disegno apportato con un’apposita pressa. Il legno maggiormente utilizzato per produrre le sedie serrastrettesi è il Faggio. Ad oggi sono solo due gli artigiani che producono ancora interamente a mano le sedie poiché le altre aziende hanno puntato di più sulla quantità sfruttando le nuove tecnologie. La produzione delle sedie è accompagnata da quella dei mobili in generale e degli infissi su misura.  ■  • ch. Beata Vergine Maria del Soccorso • Pal. Talarico • Pal. Torchia •  Pal.  Bruni • Pal. Pingitore.

  

SERSALE (41 km dal capoluogo)  
Di notevole valore escursionistico e paesaggistico è la Riserva Naturale Regionale delle Valli Cupe con i suoi canyon, monoliti, alberi secolari e le cascate dei fiumi Campanaro e Crocchio. Il Canyon Valli Cupe è unico in Europa nel suo genere e custodisce la rarissima felce bulbifera. Gli altri canyon sono Melissano, Inferno, Gole del Crocchio, Catoie-Barbaro e Raga. Il monolito più importante è Pietra Aggiallu alto circa 18 metri. Gli alberi secolari sono il Gigante Buono di quasi 9 metri di circonferenza, il Gigante Greco e i Giganti di Cavallopoli . Tra le innumerevoli cascate si annoverano le cascate Campanaro, Rupe, Allori, Salice, Muschi, Chiusa, Chiusetta, Rovetto, San Basile, Crocchio, Cavallopoli e quella dell’Inferno che con le sue profonde gole e i suoi vetusti platani orientali è ritenuta una delle più suggestive. ■  La fondazione ufficiale di Sersale risale al 3 agosto del 1620, per merito di 13 coloni di Serrastretta che, il 3 agosto del 1620, ricevettero in enfiteusi dal Barone don Francesco Sersale, duca di Belcastro, parte del suo feudo di Zagarise e vollero chiamare il loro insediamento “Sersale” in onore della storica famiglia patrizia napoletana e di Sorrento. La zona dove ora sorge Sersale era già abitata in estate da pastori provenienti dal Reventino, infatti sembra che due edifici dell’attuale centro storico esistessero già nel 1538. La storia del territorio di Sersale affonda le radici nel periodo greco e romano, come dimostrato dagli scavi archeologici nelle località Borda e Marina di Sersale. Di una certa rilevanza sono degli sporadici ritrovamenti del periodo preistorico. Del periodo medievale risalgono i monasteri italo-greci dei Santi Tre Fanciulli, del IX secolo, in località Casalini-Castania, Santa Maria della Sana, dello stesso periodo e fra i più importanti in Calabria, sito nell’omonima località sulle pendici del Monte Raga, e San Nicola, in località Trebisina-San Nicola, nel 1230 trasformato in castello dai conti Falluch di Catanzaro per ordine di Federico II. Nel monastero dei Santi Tre Fanciulli nel 1217 soggiornò per un certo periodo papa Onorio III. In località Monacaria dove ora rimangono pochissimi resti sorgeva l’importante monastero florense di Santa Maria d’Acquaviva o di Monacaria, costruito nel 1194 direttamente da Gioacchino da Fiore insieme al discepolo Pietro da Cosenza. Anche se rimangono poche tracce fu considerato uno dei più importanti monasteri florensi del massiccio silano. In località Catoie e colle Orlando, sul confine con il comune di Zagarise, si trovano ancora i resti della città di Barbaro che solo per una piccolissima parte interessa il comune di Sersale, mentre i colli e i toponimi che ricordano i paladini di Carlo Magno ricadono interamente nel territorio sersalese.

 

SETTINGIANO (14 km dal capoluogo)  
Il nucleo urbano originario è disposto sul pendio di una collina molto ripida nell’istmo di Catanzaro (la parte più stretta della penisola italiana), l’istmo posto fra il mar Tirreno e il mar Ionio), sul versante est della sella di Marcellinara. Negli ultimi vent’anni il Comune ha conosciuto una crescita demografica significativa, soprattutto nella frazione di Martelletto, che ad oggi rappresenta il centro produttivo del Comune ospitando la zona industriale e la zona di maggiore espansione residenziale. ■  La fondazione di Settingiano risale alla fine del XVI secolo, grazie ai cittadini di Rocca Falluca, un antico borgo medievale di cui restano le rovine al confine dei territori di Tiriolo e Settingiano.

 

SIMERI CRICHI (15 km dal capoluogo)                   
In origine, il nome del paese era Symari, termine latino derivante da uno dei due fiumi che delimita il confine territoriale, per l’appunto il fiume Simeri. A questo, nel tempo, venne aggiunto il termine Crichi, dal greco Krikos (anello) o dal latino Ocris, che invece significa “monte sassoso”. Caratteristica di questo paese è quella di essere composto da due distinti agglomerati urbani. Simeri e Crichi distanti tra loro circa 3,5 km. Simeri Crichi, è situato su un’altura di 465 metri. È bagnata dal Mar Ionio con circa 3 km di ampia spiaggia compresi nei confini comunali ed è caratterizzata da un territorio pianeggiante verso il mare e collinare nell’entroterra. Il territorio è attraversato ad est dal fiume Simeri ed a ovest dal fiume Alli. ■  Nel medioevo la cittadina prosperò sotto il governo bizantino, che fortificò il perimetro abitato. Nel 1541 il territorio di Simeri Crichi era di proprietà del duca Ignazio Barretta appartenente al Ducato di Simeri. Simeri appartenne poi ai Borgia fino al 1622. Dopo i Borgia, la terra passò ai Ravaschieri, già principi di Satriano. Il casale di Simeri fu poi dei De Fiore, dei Barreta Gonzaga e dei De Nobili, con Emanuele De Nobili che vi rimase fino al 1806, anno dell’eliminazione della feudalità. Simeri è il borgo più antico, d’origine medievale: in questa zona sono stati portati alla luce una serie di reperti della prima metà del ferro e del periodo magnogreco. Crichi, invece, fu fondato nella seconda metà del XVIII secolo, pare da un gruppo di contadini di Sellia. Per quanto riguarda Simeri i primi feudatari risultano i Falloc e poi i Ruffo. A loro seguirono i Centelles e poi, nel 1482, i d’Aragona d’Ayerbe che, conti dal 1519, mantennero la titolarità fino al 1580. La baronia, da quest’anno, passò attraverso diverse famiglie. Fu di Casa Borgia, poi dei Ravaschieri di Satriano, dei De Fiore (marchesi dal 1715), dei Barretta Gonzaga (con titolo di duchi dal 1749) ed infine, dei De Nobili di Catanzaro, ultimi feudatari. Danneggiato dal terremoto del 1783, Simeri fu riconosciuto comune con decreto del 4 maggio 1811 e gli furono attribuite le frazioni di Crichi e di Petrizia (quest’ultima gli fu tolta con il riordino amministrativo borbonico del 1816 e attualmente fa parte del comune di Sellia Marina). Con decreto del 1848 il comune fu riunito e la sede municipale spostata a Crichi.  ■   • Ruderi del Castello Bizantino • Ruderi Convento dei Cappuccini • Ch. di S. Maria dell’Itria.

 

SORBO SAN BASILE  (22 km dal capoluogo)                
È posto a 620 metri di altitudine sulle pendici orientali della Sila Piccola, alla destra del fiume Alli. Fa parte della Comunità Montana della Presila Catanzarese. Il suo nome deriva dal latino sorbus, ossia sorbo. La specifica del nome risale al 1863 ed è in onore di San Basile (che non è il santo patrono del luogo). ■  • Chiesa di Santa Maria delle Grazie • Palazzo Mercurio (o Mercuri), cinquecentesco.

 

SOVERATO (35 km dal capoluogo)  
Il comune si fregia della Bandiera Blu e della bandiera verde per le spiagge migliori per i bambini. È conosciuta con l’appellativo turistico Perla dello Jonio. Dal 2009, con decreto regionale, è stato istituito il Parco Marino “ Baia di Soverato “, habitat naturale del cavalluccio marino. L’attuale nome della Città, secondo tradizione, deriva dall’albero del sughero presente in grande quantità all’interno del territorio comunale e nelle zone limitrofe, quest’ultime un tempo parte del territorio di Soverato e oggi appartenenti ad altri comuni. Soverato è suddivisa in tre zone contingenti, la prima sulla costa (Soverato Marina), la seconda in bassa collina, poco distante e leggermente distaccata dalla prima (Soverato Superiore) e la terza, alla stessa altezza della seconda, rappresenta quel che rimane della vecchia Soverato, distrutta dal terremoto del 1783 (Soverato Vecchia), risalente al IX-X secolo. La popolazione è prevalentemente accentrata nella parte bassa della cittadina. La sabbia di Soverato è bianca e fine, le acque cristalline con un fondale sabbioso.  ■ Troviamo tracce dei Siculi, il popolo che dalle Alpi scese fino all’isola che ne porta il nome; ed emergono a tratti vasti ruderi di un insediamento greco e romano, noto come Poliporto, in buona posizione tra le città di Scillezio-Scolacio e Caulonia. Si nota un riuso medioevale, probabilmente per ricavare il salmarino. Avvenuto in tutto lo Ionio il trasferimento verso l’interno, è documentato nell’XI secolo un borgo di Suberatum, in neogreco Souberaton, sopra una collina, e fortificato con mura e torri. Attorno al 1510, Francesco Marini da Zumpano fondò, o forse ricostruì un edificio destinato a convento della sua riforma dell’Ordine Agostiniano; e lo ornò della Deposizione gaginesca detta Pietà. Visse nel XVI secolo fra Giacomo da Soverato, uomo di cultura ed esponente di altissimo livello dell’Ordine dei Cappuccini. Nel 1594, la costa ionica fu esposta ad una terribile incursione di Turchi, che colpirono anche Soverato e il convento. Leggenda vuole che non potessero portar via la campana d’oro. Dai primi del secolo seguente, Soverato è baronia dei Marincola, che erano duchi di Petrizzi. L’ultimo a portare il titolo di barone, don Diego, è morto nel 1953. Il terribile sisma del 1783, che rase al suolo gran parte della Calabria, si avvertì duramente anche a Soverato. Si preferì, come in molti altri casi, non ricostruire, ma trasferire l’abitato sul colle antistante, iniziando con il Duomo dell’Addolorata. I resti dell’antico borgo, che chiamiamo Soverato “Vecchio”, visitabili, ospitano a volte, per chi ci crede, il fantasma del Fabbro. Almeno dalla metà del XVII secolo, ebbe vita il piccolo insediamento di S. Maria di Poliporto, sulla costa, protetto da una torre di avvistamento, poi anche da un robusto castello. C’era una chiesetta, che, dopo molte vicende, oggi è il Rosario. A S. Maria di Poliporto nacque Carlo Amirante, oggi sulla via della canonizzazione. Con lo sviluppo dei commerci navali sotto le Due Sicilie, Soverato, già dichiarata porto dal 1811, attrae cospicue famiglie di commercianti e imprenditori e lavoratori da Calabria, Sicilia, Puglia, Campania. L’attracco di bastimenti e i trasporti verso l’interno consentono un rapido sviluppo di attività. Nel 1876 Soverato è raggiunta dalla linea ferroviaria Bari – Reggio C.; dal 1920, è capolinea della ferrovia Calabro-Lucana. Nel 1881, con un atto di lucida lungimiranza e rimasto tuttora unico esempio sullo Ionio, il capoluogo comunale fu trasferito sul mare. Si adottò una nuova toponomastica ufficiale delle due frazioni: Marina di Soverato e Soverato Superiore. Nel 1891 venne istituita una frequentata Fiera primaverile. L’urbanistica della Marina vide sorgere imponenti palazzi umbertini; seguirono poi più vivaci palazzi liberty. Nel 1935 arriverà la statale 106. Nel 1904 veniva costruita, per voto, la chiesetta di Portosalvo; e si restaurava entro il 1910, che dal 1941, come Immacolata, sarà sede di una nuova Parrocchia; e, dal 1963, con la costruzione dela nuova Immacolata, è il Rosario. Nel 1908, don Michele Rua celebrava la prima Messa nella chiesa di S. Antonio, inizio dell’Istituto Salesiano e Oratorio, il che fece di Soverato anche rinomato e frequentato centro di studi ginnasiali, e dal 1953 Liceo. Nel 1944 giunsero le Suore Salesiane, che istituirono l’allora Magistrale; nel 1950, a Soverato Superiore, le Suore Gerardine. Numerose e importanti le attività produttive e commerciali. I bagni di mare erano nel costume cittadino dalla seconda metà dell’Ottocento. Prima in Calabria, si dotò di un’Azienda di Cura, Soggiorno e Turismo. Cresciuta di estensione e di abitanti, nel 1974 Soverato venne insignita del titolo di Città, ed è la terza della provincia di Catanzaro. A coronamento di tutto, Soverato è stata insignita dell’ambita Bandiera Blu.  ■   • La Torre di Carlo V o Torrazzo   •  Castello di Soverato   • Duomo di Maria SS Addolorata  • Ch. di Sant’Antonio di Padova  Istituto Salesiano  • Ch. dell’Immacolata  • Ch. del Rosario  •  Ch. di Maria SS di Portosalvo (o dei pescatori)  •  Il sito archeologico di “ Soverato Vecchia  • Zona archeologica di Poliporto •  Le tombe Sicule  • Pal.Gregoraci  • Pal. Alcaro  • Pal. Corapi •  Giardino Botanico Santicelli, oasi naturalistica.

 

SOVERIA MANNELLI (45 km dal capoluogo)  
L’origine del nome è controversa. Per alcuni il toponimo Soveria sarebbe legato alla presenza di sorbi (suarvu nel dialetto locale), mentre Mannelli sarebbe legato alla produzione, tipica in questo territorio, di tessuti di lino realizzata con strumenti artigianali in legno detti manni nel dialetto locale. Una paretimologia fa derivare il toponimo Soveria da “suvare”, vocabolo che, in dialetti di località della Calabria Citeriore, distanti tuttavia da Soveria Mannelli, è legato all’allevamento dei suini. È situata in una conca, solcata dal fiume Amato, formata dalla depressione dei contrafforti meridionali della Sila e del massiccio del Reventino. L’abitato è in declivio, con la parte più antica conosciuta come “San Tommaso” o “Mannelli” in alto e la parte relativamente moderna “Soveria”, ormai senza soluzione di continuo con la precedente, più in basso, in posizione pianeggiante lungo l’antica Strada statale 19 delle Calabrie. Più distanti dal centro urbano le località di Colla, Pirillo e Santa Margherita. Per l’altitudine è considerato territorio montano: l’altitudine prevalente è di circa 800 m s.l.m. (minima 696 m, massima 988 m). Il sistema orografico, delineato dai fiumi Amato e Corace, si dirama da Nord-Ovest a Sud-Est dal passo di Borboruso (836 m s.l.m.) al monte Tiriolo (949 m s.l.m.) Nel territorio di Soveria si identificano i monti Rosello (918 m), San Tommaso (940 m) ed Eremita (909 m). I boschi si estendono per più del 30% del territorio. I corsi d’acqua hanno carattere torrentizio. Nel territorio di Soverìa, in località Porta Piana, nasce il fiume Amato, che origina dalla confluenza dei ruscelli Sabettella e Occhiorosso. Corsi minori sono gli affluenti di sinistra dell’Amato (i torrenti Scaglione, Menicone, Galice e Ruina) e gli affluenti di destra del Corace (i torrenti Quaresima e Guglielmino). Il Quaresima segna il confine col comune di Bianchi, il Guglielmino col comune di Carlopoli e il Galice con il comune di Decollatura. ■ La storia di Soverìa Mannelli prima dell’autonomia amministrativa (1807) è legata alle alterne vicende politiche della contea di Martirano, dell’università di Scigliano, una città demaniale, e in piccola parte della Terra di Motta Santa Lucia. Il territorio fu frequentato sporadicamente verosimilmente già in epoca preistorica, come confermano alcuni rinvenimenti litici conservati nel Museo archeologico provinciale di Catanzaro, che tuttavia non sono stati studiati in modo approfondito e di cui non si conosce peraltro il sito esatto di ritrovamento. La vicinanza del fiume Amato, che si versa nel Tirreno, e del fiume Corace, che sbocca nello Ionio, favoriva il passaggio di uomini e gli scambi di merci. ■   • Parrocchiale San Giovanni Battista • Parrocchiale San Michele  • pregevole statua lignea raffigurante San Michele  • Monumento a Garibaldi • Fontana dei Francesi • “Lanificio Leo”  • Palazzo baronale.

 

SOVERIA SIMERI (16 km dal capoluogo)  
L’economia è prevalentemente agricola con un buon sviluppo del settore primario. Rinomate sono le produzioni di agrumi, olio, miele, insaccati, latticini, e prodotti biologici. L’artigianato è il fiore all’occhiello del paese, con i suoi tre laboratori di lavorazione del vetro soffiato, nei quali si producono prodotti esportati anche all’estero, e due per il ferro battuto. Confina con i comuni di Sellia, Sellia Marina, Simeri Crichi e Zagarise. ■  Alcuni ritengono che il nome originario fosse quello di Trischene perché comprendeva tre zone: Simeri, Soveria e Crichi. In seguito ad un forte terremoto alcune parti sprofondarono e tutta la zona rimase divisa in tre tronconi, sui quali sono ubicati i paesi attuali. Dovrebbe avere una origine remotissima che risale al periodo della Magna Grecia. Successivamente, nel Medioevo, godette di qualche importanza e, come si racconta, Simeri, nucleo originario, fu sede di un ducato. Si riscontrano infatti antichi reperti archeologici come il castello, di cui rimangono ancora ruderi e la cattedrale oggi quasi del tutto diroccata; nelle campagne circostanti sono state trovate anche monete ed anfore del periodo greco. Secondo alcuni racconti, riportati da alcuni anziani, una galleria congiungeva Soveria con il troncone originario di Simeri. Notizie desunte da due Cronache, riferiscono, che tre sorelle di Priamo (Etilla, Astioche e Medesicaste), scampate alla rovine di Troia, approdarono ad Uria, nei pressi di Sellia Marina e vi edificarono tre tabernacoli (Treis Schenè). Origini lontane, comprovate dal ritrovamento di scheletri ed oggetti loro posti accanto, di monete con sul dritto due o tre tabernacoli e sul rovescio il Minotauro. ■  • Chiesa di S.Maria della Visitazione  • Chiesa dell’Addolorata  • Chiesa di Santa Rita  • Monumento a San Donato  • Calvario  • Monumento ai Caduti  • Monumento a Padre Pio  • Museo civico • Museo attrezzi contadini  • Museo arte naif   ■L’arte della lavorazione del vetro soffiato a Soveria Simeri è diventata con il tempo un’importante produzione a carattere artigianale e anche una non trascurabile attività economica. In questo settore operano attualmente tre laboratori artigianali in cui con l’impiego di numerosi addetti si producono bomboniere, oggettistica varia e addobbi natalizi. Buona parte di questa produzione è destinata all’esportazione verso altre regioni ma anche verso Svizzera, Stati Uniti d’America e Canada. E’ possibile visitare i laboratori previo appuntamento. • Giuseppe Amelio viale della Libertà 21 - 0961798230 • Renato Colicchia | via San Nicola 20 tel. 0961798027 • Giuseppe Esposito via San Nicola 12a | 0961/798480. Oltre al vetro soffiato è stata ripresa anche la vecchia e tradizionale lavorazione del ferro battuto. Due avviati laboratori sono quelli di: • Zungrone D., ctr. Laca, | 0961/798510. • Lamanna L., via L. da Vinci 22

 

SQUILLACE (26 km dal capoluogo)  
È posta in una posizione strategica a controllo dell’omonimo golfo sul mare Ionio, sul quale sorgono i quartieri di Squillace Lido e Fiasco Baldaia. Il parco archeologico di Scolacium si trova nel territorio di Roccelletta di Borgia, ma anticamente e storicamente faceva parte di Squillace ed è entrata a far parte del territorio di Borgia soltanto negli ultimi due secoli. ■  Le sue origini si perdono nel lungo trascorrere del tempo, mentre la leggenda conferisce a Ulisse la fondazione della città. Il re di Itaca, mentre stava tornando da Troia, approda, dopo una tempesta, in una zona pianeggiante tra il fiume Corace e il fiume Alessi, qui avrà origine Squillace. Altre fonti storiche vedono in Menesteo il fondatore della città. Il primo nome che si conosce del comune è Skyllation, località che divenne un importante centro di comunicazione e un porto militare e commerciale di grande importanza. ■   Squillace Storica. È divisa in quartieri più piccoli, tra i quali spiccano il centro storico, e la Squillace Nuova, quartiere di recente costruzione che si espande da Viale Fuori le Porte fino alla Contrada Micciulla. Oltre ai quartieri ve ne sono altri più piccoli di aspetto rurale. Nel centro storico sono inoltre presenti molteplici monumenti e chiese, tra cui il Duomo, il Castello Normanno, il palazzo del Municipio e il Centro del Folklore. Un ampio lavoro di restauro ha reso al castello quell’imponenza persa da tempo, rendendo Piazza Castello un luogo importante per i turisti che finalmente possono godere della meravigliosa veduta. Squillace Lido. Un primo piccolo nucleo di abitanti risiedeva, intorno alla nascente ferrovia, già dal 1860. Lo scrittore George Gissing nel suo libro Sulla riva dello Jonio, resoconto di un suo viaggio in Calabria effettuato nel 1897, descriveva l’accoglienza avuta nella Marina di Squillace. Intorno agli anni ‘70 fu realizzato un gradevole lungomare e abbozzato un piano edilizio. La costruzione della chiesa di San Nicola Vescovo ha sancito anche la volontà di creare un nucleo stabile e residente.  •Castello Normanno • Basilica con cattedrale di Santa Maria Assunta • Palazzo Vescovile • Ponte del Diavolo • Ch. di S. Pietro Apostolo • Chiesa di San Nicola delle Donne o dell’Immacolata (sconsacrata) • Ch. di S. Matteo o di Ogni Santi • Ch. di S. Giorgio • Santuario Madonna del Ponte • Ch. della Madonna della Catena (sconsacrata) • Ch. Gotica di Santa Maria della Pietà (sconsacrata) • Monastero di S. Chiara (distrutto dal terremoto) • Pal. Pepe (oggi sede del Municipio) • secondo Pal. Pepe (con affresco sul portico, con stemma della famiglia Pepe) • Pal. Palmisani • Pal. Baldaya • Palazzo Maida-Chillà • Finestra Bifora di origine gotica lungo via Antico Senato • Portali lungo corso Guglielmo Pepe • Ch. S. Nicola Vescovo in Squillace Lido • 7 conventi (3 maschili e 4 femminili) andati tutti distrutti.  ■ Tra le attività più tradizionali vi sono quelle artigianali, che si distinguono per la lavorazione delle terrecotte, caratterizzate da tecniche bizantine ed elementi religiosi o colti dalla fauna. Squillace vanta un riconoscimento speciale da parte del Ministero dello Sviluppo Economico che consente ai ceramisti squillacesi di applicare il marchio DOC sulle proprie ceramiche.

 

STALETTÌ (27 km dal capoluogo)  
La Storia di questo comune può iniziare dalla via prinipale, Via Grande, che racchiude un importante senso strorico.  ■ Da qui si possono ammirare le fornaci per la calce di epoca antica nonchè la torre di guardia che sormonta il territorio. Altre torri poste a difesa sono ormai andate perdute. Ricordiamo la Torre Regia, Torre di Stalettì a Santa Maria de Vetere, a Torre Elena e Torre del Palombaro. A causa delle incursioni Saracene subì un decremento demografico che dimezzo la popolazione. A seguito, nel 1783, un terremoto causò all’intera cittadina ingenti danni che si riversarono sulle numerose chiese e monumenti presenti in questo comune.  ■   • Il convento di San Gregorio Taumaturgo  • Ch. dell’Immacolata concezione  • Ch. della Madonna del Rosario  • Siti archeologici. Molte le testimonianze archeologiche nel suo territorio, come il sito archeologico di Santa Maria del mare, con i resti di una fortezza bizantina a pianta pentagonale, che non ha nulla a che fare con il Vivario, fondato da Cassiodoro. Questo, secondo le indicazioni topografiche date da Cassiodoro nelle Institutiones, (il Vivariense era “ai piedi del monte Moscio, vicino al fiume Alessi e vicino al mare”) era situato all’odierna Coscia di Staletti.  ■Oltre al turismo archeologico e balneare, offerto dalle spiagge di Caminia e Copanello, è interessante il turismo folcloristico. I più importanti avvenimenti sono quelli che si svolgono nel periodo pasquale come la suggestiva “Chiamata” con processione della Madonna Addolorata nel Venerdì santo o la “Cumprunta” con la svelata della Madonna alla domenica di Pasqua. Altre manifestazioni si svolgono in occasione della festa di San Rocco (Compatrono) in estate o la tradizionale fiera che si svolge durante la celebrazione patronale di San Gregorio Taumaturgo il 17 novembre. Altre processioni sono la festa del Santo Bambino il 6 gennaio, di San Giuseppe il 19 marzo, di San Gregorio (festa del miracolo della pioggia) il 13 maggio, di Sant’Antonio il 13 giugno, della Madonna del Carmine il 16 luglio, di San Pio da Pietrelcina il 23 settembre, della Madonna del Rosario (Regina di Stalettì) la prima domenica di ottobre, dell’Immacolata Concezione l’8 dicembre e di Santa Lucia il 13 dicembre.

 

TAVERNA (26 km dal capoluogo)  
Situato ai piedi della Sila Piccola. Il territorio è compreso tra i 358 e i 1765 metri s.l.m. del monte Gariglione. ■   Taverna vede la sua origine nella mitica polis greca Treis-Chenè, fondata da coloni provenienti dalla Grecia in prossimità del mare Ionio. Si pensa che la città venne distrutta nel X secolo. Sono ancora visibili i resti di un castello, di una torretta d’avvistamento e della cattedrale, sul monte Paramite di Taverna Vecchia, antica sede dell’Episcopio spostato da Callisto Papa II nel 1122, a Catanzaro. Avvenne una seconda distruzione di Taverna a causa delle guerre feudali nel 1160 e le lotte tra Aragonesi e Angioini nel 1459 che costrinse la popolazione a trasferirsi nel vicino Casale di Bompignano, qui la città dimorò in maniera stabile, definendo un vasto e ricco territorio che favori la formazione di un governo politico autonomo, gestito da famiglie nobili del luogo. Questo piccolo rinascimento favorì un grande sviluppo economico e sociale ed un vivace ambiente culturale, attivo per tutto il secolo XVI e XVII, ma che scemò agli inizi dell’Ottocento. Nel corso del XIX secolo, i le alternanze politiche succedutesi alla Repubblica Partenopea, all’insediamento nella città dei Francesi, ai moti Risorgimentali, al brigantaggio, fino all’Unità d’Italia, causarono la perdita dell’autonomia amministrativa e la fuga da Taverna delle famiglie gentilizie e degli Ordini monastici. “Con gli anni oscuri della prima metà del nostro secolo, drammaticamente segnati dai conflitti bellici, dalla povertà e dalle dissanguanti emigrazioni, la più alta identità storica e culturale della città sarà dispersa in mille rivoli da distruzioni, saccheggi, demolizioni e furti. I frammenti giunti fino a noi, sospinti e irretiti dall’ultima fagocitante evoluzione, stentano ancora ad essere riconosciuti come le vere pietre miliari,necessarie alla costruzione futura di Taverna.” ■  • Museo di Taverna • Ch. di S. Domenico • Ch. di S. Barbara • Ch. San Martino • Ch. S. Maria Maggiore • Ch. S. Caterina  • Ch. S. Maria del Soccorso.

 

TIRIOLO (20 km dal capoluogo)  
Centro agricolo e commerciale situato a nord dell’istmo di Catanzaro, sopra un poggio che segna il displuvio tra la valle del fiume Amato sul versante tirrenico e quella del fiume Corace sul versante ionico. ■  Fu fondata dai greci circa 600 anni prima della guerra contro Troia: Tryoros deriva il suo nome dai tre monti che lo circondano. La popolazione originaria era composta da greci, fino a quando il sito, intorno al 500 a.C., venne conquistato dalla popolazione di stirpe indoeuropea detti Brettii o Bruzi e perse i contatti con la madre-patria, la Grecia. Sul territoria comunale sono stati ritrovati diversi resti risalenti al Neolitico, all’età del ferro e di epoche successive. Durante la rivolta di Spartaco fu teatro della ribellione e vide i due eserciti contrapposti: dalla sponda nord, sulle pendici che da Tiriolo digradano verso Marcellinara erano schierate le legioni di Crasso, sull’altro contrafforte erano arroccati i ribelli di Spartaco, che per impedire l’avanzata dei legionari avevano scavato, proprio nell’attuale stretto di Marcellinara, una trincea allagata che metteva in comunicazione i due mari. A Tiriolo fu rinvenuta nel 1640 una tavoletta di bronzo recante il testo del Senatus consultum de Bacchanalibus del 186 a.C. riguardante il divieto di tenere baccanali. Antica baronia dei de Reggio il borgo, possesso dei Ruffo dal 1252 fino al 1445, fu del regio demanio fino al 1481, dei Carafa fino al 1610 e dei Cigala fino al 1806. ■  Nel Corso Garibaldi si distinguono alcuni palazzetti qualificati da eleganti portali e finestre. L’antica rocca è dominata dai ruderi del castello intorno al quale crebbe il centro storico caratterizzato da alcuni palazzi cinquecenteschi. Dalla sommità della rocca e da tutto il centro storico si può ammirare uno dei più ricchi panorami: verso sud est Catanzaro e le spiagge ioniche, a sud le Serre, Pizzo Calabro e la costa fino alle coste della Sicilia settentrionale, abbracciando il mar Tirreno con le isole Eolie, con Stromboli in evidenza con il suo pennacchio, mentre a nord si possono ammirare le pinete della Sila Piccola. Nel territorio comunale di Tiriolo, al confine con il territorio di Settingiano, sono visibili i ruderi di Rocca Falluca, un antico borgo medievale, fondato alla metà dell’XI secolo attorno a un castello normanno e abbandonato alla fine del XVI secolo, patria dell’umanista Agazio Guidacerio (1477-1542).  ■ È un centro dove esistono ancora alcune botteghe d’arte che producono lavori a telaio e a tombolo: i vancali, scialli tradizionali, e tessuti in lana e seta. In alcune botteghe sopravvive ancora oggi la tradizione legata alla lavorazione della ginestra. Oltre alla tessitura, Tiriolo vanta la produzione artigianale di strumenti musicali tradizionali come la lira calabrese, la fidula rinascimentale, flauti e chitarra battente. Numerosi artigiani, le cui botteghe sono disseminate per il borgo, si dedicano alla creazione di sculture sacre e profane, maschere apotropaiche, oggetti in legno di ulivo, manufatti in terracotta e ceramica. L’agricoltura dà grano, mais, frutta, olive e uva che vengono lavorati in loco da frantoi e impianti di vinificazione. L’industria è attiva nel settore dell’arredamento, della lavorazione dell’olio, dei dolciumi. • 4-5 agosto: Festa Maria Santissima della Neve • Mese di agosto: Bacchanalia • Mese di agosto: Sagra del pollo alla Diavola • settembre: Festa Maria SS. Scala Coeli.

 

TORRE DI RUGGIERO (52km dal capoluogo)  
È posto a 566 metri s.l.m. sul versante orientale delle Serre, lungo la media valle del torrente Ancinale. Il territorio comunale è attraversato dal Sentiero Italia, del Club Alpino Italiano (CAI), sentiero che attraversa faggeti e castagneti ■  • Parrocchia S. Domenica  • Parrocchia S. Maria Delle Grazie • Parrocchia S. Nicola Di Bari.

 

VALLEFIORITA (31 km dal capoluogo)  
Nome suggerito per l’amenità dei suoi luoghi e per i fiori che vi crescono a dovizia.  Si trova a 309 metri sul livello del mare dal quale dista 14 Km.  Il territorio è di Kmq 13,23.  Il nome di Vallefiorita non poteva essere più appropriato: il paese sorge su uno sprone tra le vallette che solcano le pendici orientali della Serraltà di S. Vito estendendosi in longitudine dalla località denominata “Cavallina” che trovasi al nord, ai piedi della “Trempa Randa” (Grande salita) dove negli anni passati dimoravano“ i mandri” (le greggi) alla “Crucia à hora” (Croce fuori paese, il bivio che forma la strada provinciale collegandosi con la statale 181). A nord-est è delimitato dalla “Cuzza e Carru”, a sudovest dal torrente “herraru” sulla cui sponda sinistra si trovano ancora i resti di quello che fu “u monastiari” (il monastero) eretto, sembra, nel medio Evo da frati predicatori. Notizie di questo monastero ne troviamo nel rapporto del Vescovo della diocesi di Squillace Francesco Saverio Maria de Queralt al papa Benedetto XIV . Stretto a destra dai colli Spicchiotto, Soverito ed Olivadà ammantati di uliveti e a sinistra dal colle Jannetta, il paese trova naturale sbocco per le sue nuove e moderne costruzioni a Sud, nella contrada “Guarna” che delimita il territorio da quello di Squillace. Vallefiorita risulta diviso in due dal fiume Alessi (oggi fiumara) ed è collegato presso il Municipio dal ponte S. Rocco. La parte nord è la più estesa ed anche la più antica; la sud dove il paese si sta sviluppando è molto pianeggiante e favorisce le diverse attività della vita moderna. Altro importante polmone su cui si potrebbe innestare il meraviglioso sviluppo che sta trasformando il volto del paese in quest’ultimo decennio è l’arteria che, attraversando il colle “Cuzzardine”, la contrada “Tre croci”, il “Pastorello”, i piani di “Cannavina”, gli “Schiavi”, tagliando presso che tutta la montagna di Vallefiorita ricca di boschi di paesaggi riposanti e di frescure, si ricongiunge alla provinciale che unisce i comuni di Girifalco, Cortale, Cenadi, Olivadi, Filadelfia, Polia all’altezza della “Fossa del lupo”. Se si giungesse alla realizzazione di quest’opera, tutta la zona godrebbe di innumerevoli vantaggi economici: dall’incremento del turismo ai piccoli scambi commerciali. Le derrate agricole di Vallefiorita che non sono poche, potrebbero trovare in questi paesi montani redditizi mercati.  ■ Le antiche origini di Vallefiorita sono da ricercare nelle vicende degli Enotri che abitarono la zona dove l’Italia è più stretta, nell’istmo di Catanzaro. Fino alla seconda metà del medioevo, si chiamò “Conca d’Oro” per poi divenire “S. Elia” per via della costruzione di un eremo basiliano di cui sono ancora visibili le tracce in località Monastero. Assunse l’attuale nome nel 1863.

 

ZAGARISE (29 km dal capoluogo)  
Riguardo all’etimologia del nome, Gabriele Barrio, scrittore del 1600, nella sua “ De Antiquitate et situ Calabriae” scrive: “A sinistra della Silia si trova la città di Zagarise, in un luogo piuttosto elevato, nei pressi dei boschi della Sila; il suo nome significa cosa utile. Nei suoi campi sono prodotti: fichi d’india, reopontico (pianta simile al rabarbaro di origine asiatica) e marmo frigio”. L’antico borgo si apre nei pressi dei boschi della Sila e si divide in due nuclei: uno a ridosso della torre normanna e l’altro intorno alla chiesa madre. Il territorio comunale è compreso tra 66 e 1690 metri sul livello del mare.  ■ Nato come semplice villaggio, il paese fu ampliato con l’arrivo di un consistente gruppo di profughi proveniente da Barbaro dove, ormai da qualche tempo, si era propagata la peste.  Il nobilissimo Padre predicatore Giovanni Fiore da Cropani scrittore del primo ‘600, inizia a parlare di Zagarise nella sua famosa opera varia istorica: Della Calabria illustrata. Nella descrizione viene confutata soprattutto la tesi dello storico Grano, il quale datava la fondazione del primo nucleo di Zagarise verso la fine del secolo XIV da gente fuggita da Barbaro, borgo non lontano, dove in quel tempo infuriava una epidemia di peste. Di Barbaro, villaggio scomparso di origini antichissime, ne parleremo in quanto entra a far parte direttamente della nostra storia. Va subito detto che Barbaro non era l’antica Zagarise, secondo quanto si racconta in una vecchia storia popolare che, come si può capire, riprende le tesi del Francesco Grano, ma costituiva villaggio non ancora rovinato quando Zagarise esisteva già. In seguito alla terribile peste del 1413 che infuriò per 10 mesi ininterrottamente, la popolazione di quel luogo, indifesa verso il terribile male, si vide costretta ad abbandonare ogni cosa e portarsi verso luoghi più salubri; fu così che, come asserisce lo scrittore di Cropani, la gente fuggita da Barbaro andò ad ingrandire e non a formare la popolazione delle altre due terre vicine: Zagarise e Cropani, che in quel tempo, appunto, esistevano già.   ■  • Ch. del Rosario • Ch.di Santa Maria Assunta  • Castellaci: antica masseria  • Torre normanna  • il rifugio Leone Grandinetti parco nazionale della Sila  • Parco acrobatico: “Orme nel Parco”  • Canyon Timpe • Rosse Grotta dei briganti  • Cascate del Campanaro • Monte Gariglione  • Museo dell’Olio di oliva e della Civiltà contadina  • Museo d’arte sacra “Silvestro Frangipane”. ■• Borgo in festa  • Natale in Borgo (8 agosto)  • Sagre del cinghiale, della pitta fritta, dei funghi (settembre) • San Pancrazio (7/8/9 luglio).
 

A chiunque abbia deciso di visitare Catanzaro, suggeriamo di trovare anche il tempo di fare un salto a CROTONE, nelle cui vicinanze c'è la fortezza di LE CASTELLA; a VIBO VALENTIA con la vicina TROPEA, uno dei borghi più belli d'Italia; alla Certosa di SERRA SAN BRUNO. 

A soli 180 km c'è la bella REGGIO CALABRIA, dove ammirare i Bronzi di Riace e nei pressi visitare anche la CATTOLICA DI STILO e il piccolo e antico borgo di PENTEDATTILO.  Per non parlare di SCILLA e CHIANALEA tra le più belle località balneari calabresi. 
Ma anche la provincia di COSENZA merita il viaggio, perchè da vedere assolutamente c'è l'ISOLA DI DINO, la spiaggia dell'ARCOMAGNO, AMANTEA e DIAMANTE, quest'ultimo definito il paese dei murales e del peperoncino...

Crediamo proprio che valga la pena di visitare tutta la Calabria!